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Ajahn Sucitto – Le perfezioni – L’energia (cap.5)

Gestire le risorse

Stiamo parlando di risorse energetiche. Quando la forza è vigorosa e stabile agiamo in modo efficace e quando è scarsa ci muoviamo disordinatamente. Noi tutti riconosceremo probabilmente che qualsiasi progresso dipende dall’energia costante con cui ci applichiamo; essa non è semplicemente uno sforzo intenso, ma è una risorsa che deve essere applicata con saggezza in modo tale da potere resistere alla spinta delle abitudini psicologiche. Alcune di queste abitudini si strutturano come programmi (per esempio il perfezionismo, la soggezione agli altri, l’autocritica ossessiva e le dipendenze; essi storpiano le nostre azioni, danneggiano il benessere e ci privano delle nostre risorse infiltrandosi nella nostra consapevolezza mentale fingendosi aspetti reali e necessari della nostra identità. Noi addirittura li difendiamo: per gli stacanovisti il lavoro è l’unica cosa che conta nella vita e per gli alcolisti, la bevanda alcolica diventa un modo di adattarsi al mondo. Così, quando l’ondata dell’insicurezza, della solitudine o della passione colpisce la consapevolezza, essa non affronta il rischio e il disagio di mettere in dubbio il punto di vista del sé e del mondo che questi programmi ci presentano. Al contrario, la consapevolezza salta a bordo dell’abitudine e indirizza l’energia verso il tentativo di negarla o lasciarsi andare alla distrazione che essa offre. Cavalcarne l’onda sembra una scelta migliore che restare fermi nella marea.

Il punto è che la consapevolezza deve estendersi oltre le onde e i programmi. Il suo default è di essere condizionata dall’attenzione presente in un dato momento. Quando un programma sgorga a fiotti, inonda l’attenzione, e le nostre intenzioni tendono a seguire la spinta del flutto. Perciò occorre energia per resistere a quel flutto e dirigere la consapevolezza verso la terra ferma. Piuttosto che una forza bruta, l’energia dovrebbe fungere da sostegno, deve essere un apporto energetico “saggio”. La sua funzione principale è il mantenere la consapevolezza sveglia ogni volta che inseriamo il pilota automatico in presenza di un abitudine comportamentale non sana.

Il contenuto dell’energia può tuttavia far sorgere un senso di ansia: “Quando sono già stanco e stressato, ho la capacità o l’interesse di sforzarmi ulteriormente?”. Una risposta saggia al preoccuparsi sarebbe dire che la priorità è imparare come conservare l’energia e non dissiparla. Inoltre, l’energia ha bisogno di essere regolata: le irregolarità ci sono perché la naturale inclinazione della mente è quella di girare intorno a ciò che accade nel suo dominio esterno e interno, la sua attenzione è quindi catturata dall’attrazione, dall’avversione o dalla confusione. Queste forze possono catturare l’energia e sopraffare la mente. Pertanto il grado di sforzo dovrebbe corrispondere a quanto incontriamo. Quando siamo stremati, è più utile applicare l’energia alla gentilezza, e lasciare andare la necessità di mettere a posto le cose. Allora usciamo dalla morsa di priorità confuse. E in ogni caso, la consapevolezza, il riconoscere lo stato attuale della mente, è essenziale. Quindi la risposta alla domanda In sintesi, la risposta è che l’energia deve essere volta al contenimento saggio e alla calma.

Qual è il modo migliore e più urgente per utilizzare l’energia? Usiamo la nostra energia per indagare dentro di noi con l’investigazione e la perseveranza al fine di mettere da parte le cause che scatenano programmi dannosi.

Stabilire confini saggi

Regolare e dirigere l’energia ha a che fare con lo stabilire certi “confini”. Quali confini? Essi sono i limiti entro i quali abbiamo deciso di muoverci, a seconda di ciò che riteniamo sia salutare e di ciò che non lo è. Dobbiamo considerare che cosa è non salutare, porta a risultati dannosi e deve essere accantonato. E dobbiamo considerare che cosa è salutare e incanala la nostra energia verso ciò che ci è di sostegno e ci nutre. Possiamo tenere a mente la seguente riflessione: “È per il mio bene, per il bene degli altri, e conduce fuori dallo stress e verso la pace?”. Invece di stabilire un confine tra sé e l’altro, questa riflessione mira a tracciare un confine tra le intenzioni e l’azione. Perciò, prima di attraversare quel confine, possiamo controllare. I confini intorno alle azioni sono necessari e spetta a noi stabilirli. Non possiamo limitarci a essere passivi; alcune cose devono essere deliberatamente lasciate fuori: “No, questo non mi fa bene”. Oppure: “Ora non mi interessa; non c’è bisogno che lo faccia”. C’è un preciso “no” in quel confine. Rendiamolo saldo, diamogli un po’ di energia e si prenderà cura di noi. Non possiamo stabilire un confine vago “Be’, suppongo che dovrei rinunciare a questo, un giorno…” oppure “Forse…”. D’altra parte, deve esserci anche un “sì”. Per esempio: “Me ne occuperò a fondo. Mi sono preso un impegno; lo porterò a termine”. Poi definiamolo con cura e diamogli un po’ di energia. E anche se ogni tanto falliamo, ritorniamo a quei confini. Esaminiamo in che modo sono crollati o dov’erano troppo stretti, e impratichiamoci.

Imparare a stabilire un confine del “no” significa praticare in una certa misura il contenimento. Significa seguire la comprensione che la mente funziona meglio se non la carichiamo con cose che è superfluo guardare, comprare, possedere oppure per le quali non ci dobbiamo preoccupare. Se non stabiliamo quel confine, la mente può essere inondata da stimoli inutili. Perciò il Buddha ci consiglia di capire cosa fa crescere sia gli stati mentali non salutari sia quelli salutari, e stabilire i nostri confini di conseguenza. Ciò può richiedere risolutezza: le dipendenze come quelle dal fumo, dall’alcol o persino dal lavoro richiedono spesso molti “no” attenti e ripetuti.

Ci sono modi alternativi per incanalare l’energia. I più importanti fra questi modi alternativi saranno le azioni di generosità, la gentilezza e la meditazione di calma concentrata, per fare guarire il cuore che è stato maltrattato da queste attività.

Abbiamo anche bisogno di stabilire un confine intorno alla nostra attività intellettuale, perché essa può diventare una vasta dimensione che inonda la mente con energia irrequieta. Dobbiamo decidere se sono rilevanti per noi o sono solo distrazioni da questioni più importanti della nostra vita. Il Buddha stesso disse che la conoscenza da lui insegnata era come una manciata di foglie, in confronto alle foglie degli alberi nella foresta. Ma, ai fini della liberazione dalla sofferenza, quella manciata era sufficiente.

Per riassumere, l’energia ha una quadruplice applicazione: in primo luogo per accantonare ciò che riteniamo inutile, e in secondo luogo per continuare a proteggere la mente da tali influenze non salutari; in terzo luogo, per stabilire che quanto sentiamo è benefico, e infine per sostenere e incoraggiare queste influenze salutari. Per questo occorre il discernimento saggio.

Conoscere i nostri veri interessi

La saggezza è una risorsa per la guarigione e per l’applicazione dell’energia, perché ci aiuta a capire da soli dove la nostra mente è catturata o confusa. Riguardo a questo, la saggezza opera per mezzo della consapevolezza, la funzione che mantiene nella mente un particolare contenuto, un impulso, uno stato d’animo o una sensazione in modo che possa ricevere una piena attenzione. Con la consapevolezza possiamo zumare su ciò che ci influenza o ci guida. Così possiamo ottenere una comprensione più sintonizzata di noi stessi, piuttosto che attraverso le opinioni di altre persone, o anche tramite i nostri atteggiamenti che ci colpevolizzano. Questo ci aiuta a capire e conoscere quale è la nostra attitudine e la nostra indole, in maniera da indirizzare l’energia verso ciò che è di nostro interesse e ciò che ci preme realizzare, tralasciando ciò che è fuorviante, non salutare, inutile per il nostro l’obbiettivo o che altri si aspettano che noi facessimo ma che non è di nostro interesse.

Guardare sotto il pensiero

Nel processo di rimanere in contatto con le intenzioni, la mente pensante non è di grande aiuto. Di fatto essa può spesso essere d’intralcio, aggiungendo un commento ininterrotto sui nostri stati d’animo, insieme a critiche e idee su come risolvere un problema. Tuttavia con la sua energia ossessiva, non costituisce il vero problema. Ciò a cui dobbiamo stare attenti è sotto il pensiero della mente pensante. E’ il dominio delle impressioni emozionali (percezioni mentali), delle sensazioni e delle immagini di sé che quelle fanno sorgere. Pertanto dobbiamo cogliere il tema emozionale dominante dei pensieri – potrebbe essere l’eccitazione, la preoccupazione o il dubbio – e ascoltarlo attentamente, rimanendo presenti a ciò che emerge. A questo riguardo, la consapevolezza è di aiuto per avere la piena comprensione dello stato d’animo. Poi rimaniamo con il tema emozionale, allargando e calmando la nostra attenzione in modo che l’energia dell’applicazione incontri l’energia dell’emozione. Quando si incontrano, quando non lottiamo per padroneggiare le nostre sensazioni o non ci distraiamo per qualcosa di più interessante, le cose diventano più chiare. La nostra consapevolezza esce dal programma poiché è più vasta, e così anche noi ci liberiamo dagli schemi di comportamento non salutari. Probabilmente qualcosa di molto ovvio ci colpirà, qualcosa di così ovvio che ci chiederemo come mai non lo abbiamo notato prima: “Tutto il turbamento non è che pensieri e stati d’animo. Stai bene. Non accettare ciecamente ciò che dicono gli altri”.

Tendiamo a giudicare noi stessi sulla base di presupposti o del modo in cui gli altri si mettono in relazione con noi. Spesso questo accade perché i nostri confini intorno a ciò che facciamo e a quanto non vogliamo fare non sono stati sviluppati con consapevolezza. Ci siamo più o meno attenuti alle presupposizioni, piuttosto che controllare le cose e decidere consapevolmente “sì” o “no”.

Se non abbiamo chiarezza su queste impressioni, dobbiamo indagare. Se questo ci porta alla sofferenza e allo stress, faremmo meglio ad andare fino in fondo. Se ha una base vera, allora vediamo cosa dobbiamo sviluppare o accantonare. Forse abbiamo perso il contatto con tutto questo. Forse i nostri con-
fini sono stati infranti da abusi sessuali, fisici o verbali. Ci diciamo che non eravamo abbastanza forti, e così il senso del nostro valore personale è stato danneggiato. Il risultato di ciò è che spesso continuiamo a contare
sugli altri per dirci che siamo o.k. E, anche quando quelli lo fanno, se il confine è danneggiato, noi non ne siamo ancora profondamente consci. Con quella perdita di conoscenza profonda, i programmi predominano. I programmi del sé sorgono a un livello più profondo di quello razionale. Ciò che occorre è l’intuizione basata sulla consapevolezza riguardo a quanto ci fa palpitare.

Il confine del “sì”

Quando vogliamo determinare a cosa applicare l’energia, stabiliamo il confine del “sì” attorno a ciò che vogliamo veramente perseguire con l’aspirazione, e manteniamolo con l’investigazione e il raccoglimento. Porre l’energia appropriata in ciò che consideriamo degno farà sorgere la contentezza. E i risultati di portata più vasta giungono quando noi sosteniamo le nostre aspirazioni e azioni con un’indagine consapevole, in modo da eliminare dalle nostre imprese ogni orgoglio o egoismo. In questo modo l’intenzione e l’energia discendono semplicemente dall’amore per il bene, anziché dal perseguimento del prestigio o del successo.

Questa energia è connessa all’aspirazione intima del cuore. Quando ci rendiamo conto di tutto questo,
non lo perdiamo più, ma lo custodiamo come un rifugio. L’elemento che dà l’avvio a questo processo è la fede, che non è una credenza, ma la sensazione intuitiva che esiste un significato: ci sono obiettivi ed energie che valgono di più del mero tirare avanti. La fede è generata dalla buona volontà Quando ci doniamo liberamente e non per ciò che qualcun altro desidera, dice o fa, nella mente c’è bellezza.

L’aspirazione, la sana disponibilità a fare, è chiamata “Il bello all’inizio”. Se aspettiamo fino a quando pensiamo di essere pronti, è probabile che aspetteremo per sempre. Dobbiamo fare un atto di fede basato sulle intenzioni, piuttosto che sulle percezioni di noi stessi e degli altri. Quindi facciamolo e basta. Diciamo “sì” alla fede e “no” alla speculazione esitante. Più dubitiamo, meno la nostra concentrazione sarà stabile; minore sarà la concentrazione, più saremo agitati; più ci agiteremo, più dubiteremo. Dobbiamo liberarci dal programma del dubbio con un atto di fede, con un “sì” alle buone intenzioni. Sicuramente faremo errori, ma, se rimaniamo entro i confini dell’etica e della consapevolezza, riusciremo a imparare. Con la fede, l’energia è un’apertura del cuore, laddove la credenza chiude la mente bloccandola su un’idea o una teoria. La credenza usa l’energia per difendere o attaccare, non per investigare. Per contro la fede trae sempre beneficio dall’investigazione. Quando nutriamo fede in qualcuno o qualcosa, significa che gli prestiamo una chiara attenzione e prendiamo sul serio ciò che esprime. Ma il Buddha sottolinea che una tale fede deve essere accompagnata dall’investigare la verità, e dal lavorare con essa dentro di noi. Questa è “Il bello nel mezzo”. Poi matura nel “Il bello alla fine”: la fiducia e la realizzazione.

Se vogliamo coltivare al massimo il nostro potenziale, ciò deve avvenire in un processo che comprenda sia le nostre sensazioni e aspirazioni, sia i nostri obiettivi e azioni. Allora possiamo verificare dove risiedono le presupposizioni sbagliate o gli impulsi sconsiderati. Siamo in grado di proteggerci dall’ignoranza e dalla sofferenza senza aumentarle. E possiamo gradualmente eliminarle. Siamo capaci di smantellare le fondamenta del biasimo, della diffidenza, del rimpianto, dell’ansia e dell’avversione. Di conseguenza, c’è un sentiero da coltivare. Più possiamo apprezzare e vivere la via della chiarezza nel pensiero, nella parola e nell’azione, più sfuggiamo ai giudizi dei valori mondani. Incominciamo a capire come indagare il nostro pensiero, non per vedere quanto siamo intelligenti, ma per comprendere se il nostro pensiero discerne la crudeltà e la evita, e se riconosce la compassione e la gentilezza e le coltiva.

Indirizzare l’energia al conoscere

L’aspirazione è una buona energia con cui iniziare la meditazione. Uno dei modi tradizionali di entrare in contatto con questa energia è chiamato pūjā, l’atto di venerare. Generalmente essa è associata all’offerta di simboli come luci, incenso e fiori a un’immagine sacra, qualcosa che evoca il senso del bene, del vero e del bello. Si costruisce un altare, si fanno le offerte suddette e si canta oppure si porta in altri modi il proprio cuore nella fede. Queste pratiche di devozione possono essere fonte di un’energia appagante.

Guardando dall’esterno, si potrebbe pensare: “Che diamine succede qui? Pensi davvero che questa immagine farà qualcosa per te?”. Questo perché la gente non si rende conto che l’immagine è lì per rappresentare qualcosa di profondo nelle nostre aspirazioni. Non adoriamo una statua o un dio. Un’immagine non può compiere azioni buone o cattive. Ma non le chiediamo di fare qualcosa; la utilizziamo soltanto come sostegno per generare la nostra energia. Quindi la pūjā è eseguita con un genuino senso di fiducia, di amore e di apprezzamento per quanto l’immagine (a cui si fa l’offerta) rappresenta per esempio la purezza, la compassione, la gioia, la saggezza.

Il Buddha stesso disse che onorare ciò che è degno di onore è una grande benedizione, a causa della concentrazione e dell’energia che questo evoca. Quando onoriamo ciò che è da onorare, ne assumiamo gli obiettivi, i valori e l’energia.

L’energia del fare le cose – l’energia di svegliarsi e rallegrarsi, da un lato, e disciplinarsi, contenersi ed esaminarsi, dall’altro – è anche rivolta a un risultato finale. Lo sforzo è una funzione dell’energia molto utile; tuttavia, lo sforzo non può mai essere un obiettivo. Il fine non è continuare a sforzarsi sempre più, ma pervenire alla stabilità emozionale e alla pienezza del cuore.

Qual è la base per conoscere qualcosa? E’ la consapevolezza di ciò che emerge, della sensazione. Facciamo un esempio riguardante una sensazione fisica come il dolore: poco tempo fa presi un raffreddore. Come sintomi avevo l’impressione che la mia testa fosse compressa, con forti sensazioni attorno al cervello e agli occhi, mentre la gola mi doleva. L’inclinazione istintiva della mente era quella di vincere il malessere e curarlo: “Come posso eliminarlo? Quando andrà via? Come posso raggiungere un punto dove il dolore non c’è? Perché deve essere qui?”. Poi mi venne in mente questo pensiero: “Perché porti qui il dolore (nella testa, nel cuore) ? Perché non lo lasci lì? Perché non dici che il dolore c’è, ed è lì?”. Dunque qui c’è la conoscenza del disagio e delle reazioni mentali, e lì c’è l’oggetto della conoscenza, la sensazione sgradevole. Con la consapevolezza, rimanendo pienamente presenti e consapevoli della spiacevolezza, possiamo cominciare ad avere la sensazione che essa sia lì e lasciarvela. Abbiamo quindi un’area in cui dimorare serenamente, senza bloccare la sensazione né farne un gran che. Se invece ci attacchiamo sempre a una sensazione pensando che è “qui”, che è “mia” e che è “ciò che io sono”, allora sopraggiunge la battaglia emozionale, il turbamento, i tentativi di bloccarlo, l’indignazione e così via. Così tutta la nostra energia si logora in un’attività inutile.

Gli aspetti fisici sono molto più facili da gestire rispetto a quelli mentali; di conseguenza, si impara dapprima a praticare con i disagi fisici, dopo di che è più agevole distinguere gli stati mentali – come per esempio la sensazione di non progredire o di non essere in grado di meditare – e non rimanervi intrappolati. Diventa più semplice tirarsi indietro dai pensieri, e ritrovare un equilibrio essendone consapevoli. E, con il tempo, grazie alla fede, alla consapevolezza e all’energia, possiamo fare lo stesso con i nostri programmi mentali. Anche se seguiamo una tecnica meditativa in modo maniacale e meticoloso, possiamo prestare attenzione a come lo troviamo stressante. Quella consapevolezza è la chiave. Quando la contattiamo e le diciamo “sì”, essa ci conduce all’equilibrio senza ulteriori sforzi. Più siamo presenti al conoscere, più energia lo raggiunge; l’energia si allontana dallo schema mentale, dalla sensazione fisica, dalla sensazione mentale o emozione ed entra in una salda consapevolezza di questi stati. Rimanendo chiara in presenza del dolore, del dubbio o di un’immagine del sé, questa consapevolezza libera l’intensità emozionale e la proliferazione che questi veicolano. La lotta e l’agitazione cessano e il processo di essere totalmente assorbiti dalle illusioni si inverte. Cominciamo a riempirci di pace.

A volte la pratica consiste semplicemente nel rimanere su un luogo, su un punto del nostro corpo o della nostra mente, senza avere l’obiettivo di migliorarlo, ma solo di starci attentamente con distacco. Semplicemente lasciamo che l’attenzione e l’energia entrino in quel luogo, in modo che il corpo sia tenuto nell’energia della consapevolezza, e la mente vi si assesti. Questo può lavare via le afflizioni e il torpore, e ripulire i luoghi feriti. C’è una facoltà guaritrice dell’energia che compare quando smettiamo di
“fare”, e permettiamo invece all’energia di accumularsi e di arricchirci. Questo è il campo del samādhi – la concentrazione o l’unificazione – che è uno stato di energia stabile, in cui il corpo, il cuore e le energie intellettuali si fondono e sono in riposo. Ha l’energia di un piacere che non è fondato sui sensi o sull’intelletto, e che ci permette di riposare nella consapevolezza.

L’energia come fattore del Risveglio

Nessuno di noi ha troppa energia o troppo poca: tutto ciò di cui soffriamo è lo squilibrio e la sua ignoranza. Perciò, se non siamo fisicamente molto forti, facciamo in modo che il nostro confine corrisponda a questa condizione. Rimanendo all’interno di quel limite e dicendo “sì” a un minor numero di attività fisiche e “no” a molte altre, scopriremo che la nostra energia si accumulerà all’interno del confine. La cosa più importante è capire che il confine esiste per aiutarci a raggiungere il Risveglio, piuttosto che per permetterci di acquisire una condizione sociale o per farci sentire inadeguati. Pertanto, se diciamo “Io sono solo questo” o “Io sono uno di quelli”, usiamo male il confine, e l’energia va perduta.

In conclusione, possiamo vedere che c’è un’energia associata allo stabilire, al fare e all’essere. Questa energia porta ad attaccarsi all’immagine di sé e al fardello corrispondente. Questo è il motivo per cui l’energia è uno dei fattori fondamentali del Risveglio.

Suggerimenti sull’energia

Coltivare l’energia ha a che fare da un lato con la protezione e la raccolta di risorse, dall’altro con l’applicazione e il sostegno di quell’energia nei confronti di attività meritevoli. La valutazione di ciò che è utile e la messa a punto dei modi in cui raccogliere e sostenere l’energia costituiscono i contributi della saggezza all’energia. Quanto allo sviluppo dell’empatia, una delle principali motivazioni per applicare l’energia è che essa mira al bene degli altri e di se stessi. L’aspirazione, la motivazione per far sorgere la propria energia per una buona causa, è un mezzo fondamentale per allietare il cuore. Combinata con le precedenti perfezioni, l’energia rinsalda la base della consapevolezza, l’atto di mantenere l’attenzione saggia su un certo tema. Questo sposta il processo della riflessione saggia in quello della meditazione sostenuta.

Riflessione

Considerate che l’energia è il combustibile per qualsiasi tipo di sforzo; anche il pensare consuma energia. È anche una risorsa che diminuisce progressivamente con l’età. Dunque chiedetevi frequentemente: “Vale la pena conferire la mia energia a questa azione, a queste parole o a questo modo di pensare?”. La sera, il vostro ultimo pensiero prima di dormire sia che la morte si avvicina e può presentarsi in qualsiasi momento; alla luce di questa considerazione, riesaminate in che cosa è impegnata la vostra energia. Chiedetevi che cosa è sorto, se ha portato calma e felicità oppure no. Poi meditateci sopra, e prendete nota di tutto.

Concedetevi alcuni minuti per verificare le vostre aspirazioni. Esse devono essere formulazioni di valori e risonanze di quello che desiderate realizzare. Per esempio: “Possa esserci pace nella mia comunità”; “Possano i miei parenti o amici trovare una via per superare le difficoltà”; “Possano tutti gli esseri liberarsi dall’oppressione e dalla povertà”. Il loro effetto immediato è spostare il centro dell’attenzione dai dettagli della vita quotidiana personale a prospettive meno grette. Ciò rallegra il cuore ed è una fonte che tonifica l’energia.

Considerate anche cosa vi piacerebbe portare a termine, e come prendere un periodo di riposo, usando la rinuncia e il contenimento per recuperare.

Azione

Impegnatevi in qualcosa di utile che richieda la vostra energia, qualcosa che vi conduca a sforzarvi e forse ad accantonare altre attività. Fare sacrifici personali è qualcosa che raffina e rafforza la mente. Usate l’energia per sostenere altre perfezioni per esempio la gentilezza o la generosità. Invece di aggiungere alle vostre attività altre cose da fare o finire, approfondite la qualità di ciò che mettete nelle vostre azioni. In questo modo l’energia, usata abilmente, provvede il cuore di nuove risorse e lo rigenera.

Meditazione

Praticate la meditazione mantenendo una postura eretta. (Potete trarre beneficio da esercizi fisici per rafforzare la zona lombare, distendere i tendini e la zona intorno alle anche).

Con ogni espirazione raccogliete l’attenzione e impegnatela a seguire il respiro fino alla fine. Nella pausa e nell’inspirazione rilassatevi e lasciatevi riempire dall’energia del respiro. Poi, nell’espirazione successiva, dirigete la mente verso le sensazioni del respiro in qualsiasi punto del corpo le sentiate e mantenetevela.

Se vi sentite intorpiditi, tenete gli occhi aperti e mantenete l’attenzione sul tenere una postura eretta. Inoltre, e in particolare nel caso vi sentiate annoiati, rinvigorite l’energia investigando la natura specifica delle sensazioni corporee che accompagnano un’energia fiacca, oppure esaminate il vostro stato mentale.

Se l’energia è troppo intensa per essere contenuta agevolmente nella quiete, provate ad ampliare il campo della focalizzazione e a percorrere con l’attenzione il vostro corpo verso il basso, uscendo dalla pianta dei piedi (per questa pratica può essere più vantaggioso stare in piedi fermi). In alternativa, meditate sui movimenti del corpo mentre camminate avanti e indietro lungo un percorso che avete scelto.

Se sentite che la vostra energia è stabile, diffondetela attraverso tutto il corpo. Quando è accompagnata dalla gentilezza, il risultato è molto gradevole.

Sangye Khadro: Affrontare le Emozioni Negative

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Tratto da Free Dharma Teaching Project.

Tutti noi sappiamo di provare sia emozioni positive che emozioni negative. Non appena sentiamo le parole amore, gentilezza, generosità, le riconosciamo subito come emozioni positive, mentre quando sentiamo parlare di odio, collera, gelosia, depressione, le riconosciamo subito come emozioni sgradevoli. Dal punto di vista del Buddha è possibile trasformare le nostre menti. Il motivo di ordine sostanzialmente pratico che ci spinge a intraprendere questo genere di impresa è che, innanzitutto, ci renderà più felici e semplificherà le nostre relazioni con gli altri.
Il metodo buddhista di affrontare le emozioni implica il riconoscere di provarle e, quindi, lavorarci sopra. non è semplice capire veramente cosa bolle in pentola. Con consapevolezza, onestà e intelligenza selettiva, possiamo cominciare a identificare cosa è cosa: “Quella è collera; quello è desiderio; quella è paura” e così via.

Dobbiamo smetterla di identificarci con l’emozione, per esempio: “Io sono la mia rabbia”, perché questo ci porta ad esserne ossessionati e a recitare questa parte. Possiamo evitare tutto ciò grazie alla consapevolezza che le afflizioni mentali sono impermanenti, vanno e vengono nella nostra mente come nuvole nel cielo.

Se nella nostra mente si trovano contemporaneamente molte emozioni distruttive diverse, la cosa migliore è iniziare da quella più potente e più molesta: non cercate di affrontarle tutte in blocco!
Antidoti generali per le emozioni

1. Presenza mentale o consapevolezza di sé

Quando riusciamo ad essere coscienti del sorgere di un’emozione nella nostra mente, per esempio la collera, allora possiamo averne controllo e affrontarla in maniera più efficace. A volte potremmo riuscire semplicemente a lasciarla andare. Inoltre, grazie ad una pratica costante della meditazione, la nostra mente sarà più calma e sarà meno propensa a reagire alle situazioni in maniera emotiva.

2. La natura della mente
La mente è chiara, non è materiale: è un flusso di eventi mentali che sono impermanenti: appaiono e scompaiono, vanno e vengono, non sono entità fisse. Può risultare efficace immaginare che siano nuvole che vanno e vengono nel cielo, paragonabili al flusso e riflusso delle onde nel mare. Inoltre, è di grande aiuto imparare a non identificarsi con le emozioni: per esempio, invece di pensare “Sono arrabbiato”, pensate “La rabbia è nella mia mente”.

3. Sospendere il giudizio
Certi pensieri e certe emozioni ci piacciono mentre altri non ci piacciono. Questo conduce rispettivamente all’attaccamento / adesione e all’avversione / rifiuto. La nostra mente, quando è in preda all’attaccamento e all’avversione, non è pacifica. La cosa migliore da fare è coltivare equanimità: consapevolezza non-giudicante e amorevole che accetta tutto ciò che sorge nella mente.

4. Fare un’analisi della realtà

Esplorate il concetto di “IO” che si nasconde dietro l’emozione: è qualcosa di concreto, che esiste indipendentemente? esaminare l’oggetto per il quale stiamo provando quella particolare emozione: esiste proprio nel modo in cui ci appare oppure ne stiamo avendo una percezione distorta ed erronea?

5. Pensare che i problemi degli altri sono simili ai nostri
utile ricordare a noi stessi che ci sono molte altre persone che hanno un problema uguale o simile al nostro e che hanno problemi di gran lunga peggiori dei nostri. Questo riduce il problema dalle dimensioni di una montagna a quelle di un sassolino, così è più facile da sopportare e ci aiuta anche ad essere più compassionevoli nei confronti degli altri.

Antidoti alla collera

La collera è l’esatto opposto della pazienza, della tolleranza, della compassione e dell’amore. E’ una concezione distorta, una maniera sbagliata di reagire alle situazioni, un’afflizione mentale: ci causa solo problemi e infelicità, disturba la mente e ci porta a fare del male agli altri, sia con le azioni che con le parole.

Bisogna imparare ad avere pazienza e per svilupparla è necessario applicare gli antidoti per la collera. L’approccio più efficace è riconoscere la collera o l’irritazione nel momento in cui sorge e affrontarla mentre si trova ancora all’interno della mente. Coglierla immediatamente non appena sorge è già di per sé sufficiente per far sbollire una buona parte dell’energia di collera.

Nel momento in cui ci rendiamo conto di quanto sia insensata, abbiamo meno probabilità di restarne coinvolti.

Durante la meditazione, lavorando con le esperienze di collera realmente vissute o con situazioni immaginate; in seguito, quando la collera si presenta nelle nostre relazioni quotidiane, possiamo riportare alla mente qualsiasi intuizione maturata durante le sessioni di pratica.

A volte, passano addirittura minuti, ore o giorni, prima che ci rendiamo conto di esserci arrabbiati e di aver fatto del male a qualcuno! Sedetevi, richiamate alla mente la situazione, individuate che cosa è andato storto e cercate di farvi un’idea di come evitare di commettere nuovamente lo stesso errore. Non è il caso di demoralizzarsi se la collera continua a sorgere con violenza: ci vuole tempo per troncare le abitudini incallite.

1. Contemplate i limiti o svantaggi della collera, in tal modo vi convincerete di quanto è nociva e, di conseguenza, non vorrete assecondarla. considerate gli effetti immediati della collera sulla mente e sul corpo. Come vi sentite quando siete arrabbiati? La vostra mente è pacifica e felice, oppure disturbata e insoddisfatta? Riuscite a pensare con chiarezza, a prendere decisioni sensate, oppure i pensieri si fanno confusi e sconnessi? E quali sono gli effetti sul vostro corpo? Vi sentite calmi e rilassati, oppure agitati e tesi? Quali sono gli effetti della vostra collera sulle persone che vi circondano? Se manifestate la collera con parole e azioni, cosa ne risulta? Potrebbe portarvi a fare del male alle persone che amate e a compromettere le relazioni affettive. Ma anche la collera diretta verso i vostri “nemici” – quelli che, secondo voi, il male se lo meritano – potrebbe ricadervi addosso in un secondo momento. E allora vi sembra questo il modo più saggio di affrontare i “nemici”?La collera produce effetti più sottili, meno evidenti, sulla nostra psiche. In termini di karma, ogni istante di collera lascia nella mente impronte che produrranno esperienze dolorose in futuro: ulteriore sofferenza. Inoltre, distrugge gran parte del karma virtuoso accumulato a costo di un duro lavoro. La collera è uno degli ostacoli maggiori per coltivare le qualità positive come amore, compassione e saggezza, e per fare progressi lungo il sentiero spirituale.

2. Coltivate la gentilezza amorevole. E’ possibile svilupparla attraverso la contemplazione di pensieri quali: “Possano tutti gli esseri stare bene ed essere felici.”

3. Ricordate il karma, causa ed effetto. Se qualcuno vi fa del male comportandosi in maniera prepotente oppure ostile, ingannandovi o derubandovi, oppure danneggiando cose che vi appartengono – e, secondo voi, non avevate fatto niente per meritarlo, riconsiderate la situazione. Dal punto di vista del Buddhismo, qualsiasi disgrazia ci capiti è il risultato di azioni nocive che abbiamo compiuto nel passato, in questa vita oppure in vite precedenti. Raccogliamo quel che abbiamo seminato. Quando riusciremo a vedere i nostri problemi sotto questa luce, la nostra capacità di accettarli aumenterà e ce ne assumeremo la responsabilità, invece di scaricare la colpa sugli altri. Non appena comprendiamo che, infuriandoci e vendicandoci, non facciamo altro che porre le cause per sperimentare ulteriori problemi in futuro, saremo determinati a essere più pazienti e a stare più attenti al karma che creiamo. Inoltre considerare anche che ” come gli altri vi trattano è un problema loro, non vostro”.

4. Mettetevi al posto degli altri: Ripensate alle vostre stesse esperienze, alle vostre manifestazioni di collera e di villania, così avrete un’idea più precisa di come se la stanno passando gli altri. Inoltre, considerate: che tipo di risultato ci sarà se continueranno ad agire seguendo criteri ingannevoli? Saranno felici e soddisfatti, oppure stanno solo creando le condizioni per ulteriori guai e sofferenza? Se comprendiamo a fondo la confusione e il dolore degli altri, saremo meno propensi a reagire rabbiosamente – cosa che non farebbe altro che accrescere la loro sofferenza – e saremo più propensi a guardarli con compassione.

5. Considerate la persona oggetto della vostra collera come se fosse uno specchio. Qui si considera l’ipotesi che ciò che non ci piace degli altri è qualcosa che non ci piace di noi stessi: la soluzione è quella di sviluppare una maggiore accettazione dei nostri stessi difetti e di diventare meno giudicanti.

6. E’ più probabile che la collera sorga nella nostra mente quando siamo infelici o insoddisfatti. Se vi accorgete di irritarvi e di infuriarvi anche per un nonnulla, sedetevi e verificate che cosa sta succedendo negli strati più profondi della vostra mente. Vi si annidano pensieri tristi e ipercritici relativi a voi stessi o ad aspetti della vostra vita? Vi state concentrando maggiormente sul lato negativo delle cose piuttosto che su quello positivo? Se è così, allora la meditazione sulla preziosità della vita umana costituisce un ottimo rimedio.

7. Le situazioni difficili sono in genere le più proficue in termini di crescita spirituale. ne consegue che quando gli altri ci fanno infuriare, ci stanno offrendo l’occasione di servirci della nostra conoscenza e di far crescere la nostra pazienza.

8. Riflettete sulla morte. Dal momento che la morte potrebbe arrivare in qualsiasi momento, è illogico rimanere aggrappati alle differenze con gli altri. Morire con strascichi di collera non risolta crea il caos nella mente e rende impossibile una morte serena. Anche l’altra persona potrebbe morire in qualsiasi momento. Come vi sentireste se ciò accadesse prima che siate riusciti a chiarire i problemi tra voi?
9. Tutti i metodi fin qui presentati implicano la meditazione volta ad affrontare la collera per conto nostro; ma è anche possibile risolvere un conflitto dialogando con l’altra persona. valutare la disponibilità dell’altra persona al dialogo. vogliamo davvero appianare le nostre differenze con questa persona oppure vogliamo soltanto esprimere la nostra irritazione o magari vincere la battaglia?
A volte siete talmente infuriati che l’ultima cosa che desiderate fare è sedervi a meditare! Come minimo, allora, dovreste cercare di evitare di rimanerne completamente coinvolti e di parlare aspramente o diventare violenti. Potreste escogitare qualche metodo per dar sfogo alla vostra energia senza fare del male all’altra persona, o potreste provare a diventare assolutamente insensibili, come foste fatti di pietra o di legno, finché la collera non sbollisce. In un secondo momento, quando la mente si sarà calmata, potrete meditare sul problema e applicare uno degli antidoti.
Un problema che si ripresenta con una certa frequenza, per esempio vi arrabbiate spesso con le persone con le quali vivete o lavorate, può essere affrontato con maggiore efficacia se riconsiderate la situazione nel corso della meditazione e programmate cosa dire e fare la prossima volta che capita. In questo modo, sarete più preparati e sarà meno probabile che siate colti alla sprovvista.