Ajahn Sucitto – Le perfezioni – La rinuncia (il lasciare andare) – cap. 3

Lasciare andare

Esaminare bisogni e desideri

Nel capitolo precedente ho parlato della rinuncia. Ora aggiungerò qualcos’altro perché ciò che comporta può essere frainteso e il suo valore sottovalutato. Lungi dall’essere un percorso che conduce alla penuria, la rinuncia è la via che porta alla realizzazione dell’appagamento. Porta la mente in un luogo più stabile, dove può accedere a grande agio e chiarezza. Così come ogni altra perfezione, la rinuncia sostiene la saggezza (e ne dipende). La rinuncia saggia va contro va contro la corrente del ingannevole presupposto secondo cui la felicità si ottiene con l’accumulazione di qualcosa di materiale o perfino di spirituale. E’ proprio questo presupposto che da un lato ci promette una via per l’uscita dall’insoddisfazione e dall’altro alimenta il concetto secondo cui noi ci sentiamo carenti e quindi abbiamo bisogno di sostenerci a qualcosa (incredibile alimenta se stesso!). Fino a che questo presupposto ci tiene in suo potere non potremo mai trovare l’equilibrio indipendente del Dhamma. Per cui, se si vuole veramente la libertà dalla sofferenza creata dalla mente, bisogna essere pronti a sfidare il presupposto, altrimenti si inseguiranno per sempre i propri miraggi e proiezioni.

Conoscete qualcuno che, ingozzandosi di oggetti visibili, suoni, sapori e così via, abbia realizzato il potenziale umano o sia in pace? Di sicuro non è affatto facile abbandonare tale dipendenza. Ingozzarsi con i sensi sarà per noi un’inclinazione naturale fino a quando non avremo realizzato qualcosa di più soddisfacente e meno soggetto a perdita, a gelosia o dipendenza. È per questo che la vera rinuncia, al contrario della repressione, può svilupparsi solo se si trova un soddisfacimento mediante la coltivazione della mente.

Con questo non si vuole negare il sostegno materiale adeguato in termini di cibo adeguato, abbigliamento, riparo e medicine ma piuttosto riconoscere che il termine “adeguato” può significare una certa quantità per una persona ed una diversa per un’altra. E così, il senso di “adeguato” continua a scivolare via dalla portata della mano che si protende ad afferrare. La ragione di ciò è nello stesso riflesso di afferrare: quando stringiamo la presa ci irrigidiamo, perdiamo la visuale prospettica e limitiamo il potenziale della mente. In questo stato, perdiamo l’equilibrio così ci protendiamo per afferrare qualcos’altro, e poi roviniamo in basso.

Coltivare gradualmente il nostro potenziale spirituale elimina il senso della mancanza e di conseguenza concede soddisfazione e forza interiore a noi stessi. Attenersi se non altro allo spirito di questa coltivazione controlla la marea dell’ignoranza: smettiamo di ignorare l’evidenza della sofferenza nella mano che afferra. Una volta che abbiamo sperimentato la chiarezza, la determinazione e le capacità di gestire il richiamo dei sensi, la rinuncia può andare oltre: possiamo lasciar andare gli attaccamenti alla posizione sociale, alle nostre opinioni e anche a chi e come presupponiamo di essere.

La rinuncia è in due fasi: lasciare andare e abbandonare completamente. Il lasciare andare è la rinuncia a cercare di essere qualcosa, all’attaccamento al divenire e ai punti di vista (questi sono due flutti). Il completo abbandono è il distacco dal senso del sé, dall’essere qualsiasi cosa compiuta e coerente, sottile o grossolana, in termini di stati mentali o di consapevolezza. Questo è l’abbandono dell’ignoranza (altro flutto). Pertanto lo sviluppo di questa perfezione funziona in tandem con lo sviluppo della saggezza. Quando la mente è salda, composta e chiara, può mantenersi libera dai sostegni abituali.

La rinuncia comporta un’indagine introspettiva: esaminare i propri desideri e tradurre saggiamente l’avidità individuando solo bisogni rilevanti. Continuate quindi a chiedervi: “Ho davvero bisogno di questa cosa?”. Quando indaghiamo i bisogni al posto dei desideri, scopriamo che le necessità tendono a semplificare e a portarci attraverso la giungla della fantasia fino a un luogo di valore. Però, se io presto attenzione ai desideri, dopo che si è presentato un desiderio, in breve tempo se ne aggiunge un altro… e poi un altro… finché mi sento inadeguato e deprivato. Ma forse la smania di uscire dalla noia o da un senso di vuoto potrebbe essere placata – invece che da un altro spuntino – da un atto di generosità o di gentilezza verso qualcun altro. E forse il gran bisogno di divertimento potrebbe essere affrontato rendendo salde e brillanti le energie della mente attraverso la meditazione.

Le necessità possono variare a seconda del momento della vita o di una particolare situazione; per cui, al fine di valutare i bisogni del momento occorre una continua coltivazione della saggezza. Perciò, se osserviamo le impressioni e gli obiettivi che si presentano nella vita, è bene ricordare: ‘Sembra che ora le cose siano in questo modo, e questa sembra la direzione da prendere. Che cosa mi serve e quanto vorrei  mpegnarmi?’. Allora si ha realmente l’opportunità di mettere in pratica la saggezza nella propria vita. Questo processo per cui i bisogni relativi sono esaminati a fondo, piuttosto che negati, è una delle caratteristiche dell’approccio del Buddha alla rinuncia. È una pratica delicata e riflessiva, non un ideale ascetico.

Restare fermi di fronte ai flutti

Questi flutti – il divenire, i punti di vista e l’ignoranza – diventano più evidenti mano a mano che coltiviamo la meditazione introspettiva. Il divenire è l’avidità che riunisce la condizione sociale, il ruolo della personalità e i nostri successi, perché questi ci esaltano e ci valorizzano.

Quando la mente prende posizione sul divenire, abbiamo la tendenza a farci trascinare via dal desiderio di essere qualcosa (bhava) che sentiamo di non essere. Essere in pace con il modo in cui siamo proprio nel momento presente richiede chiarezza nei confronti della mente, delle sue energie e dei suoi stati d’animo. Perciò essere in pace non significa che manchi spazio per la crescita, ma che l’interesse per la coltivazione può venire da un desiderio salutare per la verità e l’accettazione di sé piuttosto che da una necessità impossibile da soddisfare – la gratificazione di essere qualcosa.

Il divenire opera anche controcorrente in quanto urgenza di essere nulla, di separarsi da ciò che presumiamo di essere (vibhava). Così, se pensiamo di non essere diventati importanti, possiamo sentirci dei falliti. A causa di questa urgenza di spingere via ciò che pensa di essere, la gente cerca l’oblio nel bere e nelle droghe. Questo flutto del divenire è quindi una causa che fa perdere autostima, soddisfazione e saggezza. Quando si è dentro questo flutto, si fugge da una presupposizione falsa e si va verso un miraggio.

Quando questo flutto ci rende insensibili al nostro potenziale, una delle certezze illusorie che offre è quella di diventare devoti, costruendosi un’identità con punti di vista religiosi, credenze o inclinazioni politiche. Questa lente identitaria è chiamata “punto di vista del sé”. “Questo è vero, questo è giusto, tutti coloro che non condividono i miei punti di vista sono degli illusi, dei maledetti” e si diventa fondamentalisti. Il fondamentalismo dà alle persone un forte senso di appartenenza alla tribù del giusto e del vero, il che deriva dall’incapacità di gestire la fluidità dell’essere aperti. Di solita capita che possiamo sentire l’energia salirci alla testa e uno scudo formarsi sopra il cuore per tenerci chiusi; possiamo indurirci per difenderci da chi ha un punto di vista diverso. Perciò quanto dobbiamo notare non è il punto di vista o l’altra persona, ma lo spostamento di energia che ci fa pulsare forte il cuore e ronzare i pensieri trasformandoli in postazioni di combattimento. Questo è il fuoco dell’ignoranza. Per placarlo occorre ritornare al corpo e rendere il cuore saldo per mezzo del respiro. Per spegnere le fiamme bisogna interrogarsi: “L’attaccamento a tutto questo provoca sofferenza a me stesso e agli altri? Da quale urgenza, flutto o riflesso inconscio proviene? Può essere lasciato andare? E come?”. Questa è l’indagine all’interno delle Quattro Nobili Verità, il cuore dell’insegnamento del Buddha.

Incontare i flutti

L’uscita dalla situazione di stallo dei flutti comincia con l’abilità di riconoscerli piuttosto che reprimerli: con l’essere testimoni di quello che ci fanno. Notiamo per esempio il richiamo dei sensi o l’attrazione del successo in termini di tensioni e di spinta che ci possono dare, come pure lo sbandamento che si verifica con la perdita e il fallimento. Poi c’è il “Io non sono così, dovrei essere un altra cosa” del dubbio assillante e della presunzione. Riconoscerli per ciò che sono, piuttosto che seguirli o far finta che non stiano accadendo, è l’inizio della rinuncia.

Così la rinuncia è la via d’accesso alla meditazione, non è negazione o repressione. Reprimere l’istinto sensuale semplicemente condannandolo non porta molto lontano. Piuttosto che focalizzarci sugli oggetti proposti dal desiderio, possiamo sviluppare l’abilità di guardare direttamente dentro l’energia del desiderio e attraverso di esso. Possiamo accedere all’energia che conduce i pensieri e le immagini, e notare  quell’energia nell’irrequietezza, nel blocco e nella passione della mente. Tramite la coltivazione della mente, possiamo dirigere quell’energia lungo canali di benevolenza o di calma corporea che ci danno un benessere più duraturo rispetto alla rapida soluzione della sensualità.

Una mente sintonizzata sulla rinuncia conosce l’atteggiamento della “non-opzione”: “Ecco com’è ora”. Il chiaro riconoscimento e l’accettazione emotiva contribuiscono inoltre a spostare l’attenzione verso un luogo più profondo sotto i flutti. Dato che questi flutti si manifestano in termini di pensieri, emozioni ed energie, il modo di capovolgerli è triplice: intellettuale, emotivo e energetico. Avere una comprensione intellettuale della natura illusoria dell’attaccamento e dei benefici del lasciar andare è un buon inizio, ma abbiamo bisogno di accettare emotivamente la loro presenza. Questa sincerità raccoglie e focalizza la mente, rendendola capace di invertire l’energia dei flutti. Non possiamo attraversarli solo con le buone idee.

Quando incontriamo un flutto sentiamo direttamente le onde dell’esperienza, sentiamo la loro energia. Questo primo contatto si manifesta come un disturbo, un’increspatura nel flusso di momenti consci. Qualcosa si sente toccato, e rabbrividisce. Poi giunge il secondo contatto, che noi interpretiamo come “Sto per essere colpito/toccato”, “Quello mi ha colpito/toccato”. Questa seconda impressione, prodotta dal cuore, è ciò che creiamo sulla base del contatto. È dove le nostre psicologie di essere offesi, richiesti o apprezzati si manifestano. E, nel bene o nel male, ci caschiamo completamente; è dove l’“io” sorge come soggetto attivo. La sensazione è quella di essere spostati o addirittura scagliati attorno in una serie di reazioni abitudinarie e da lì sorgeranno tutte le voci del dubbio, e le storie di “cosa io sono”, dove si possono sentire tutte le voci assillanti che sorgono. Probabilmente le abbiamo sentite. Una sussurra: “Ma chi me lo fa fare?”; un’altra: Perché non dovrei avere quello che ha lei? È un mio diritto!”; un’altra ancora: “Non riuscirò mai a farlo, mi manca la forza di volontà”. “ma si, domani smetto”. Qui è dove il Buddha ha vinto Māra. Dobbiamo riconoscere tutto ciò come una semplice attività che può essere abbandonata. Abbiamo la possibilità di non agire come il sé creato da questa attività e sommerso dal flutto. Non è forse un’opportunità? Possiamo smettere di creare qualcosa dalle increspature e dalle onde del contatto. Così l’agitazione e il movimento si attenuano, finché, anche quando le orecchie, gli occhi ecc. ricevono impressioni, il cuore rimane saldo.

Accettare il flusso dell’esperienza

Al fine della purezza dobbiamo trascendere il flutto piuttosto che reprimerlo; dobbiamo conoscere il richiamo del piacere, sentirlo e rilassarlo. Ci occorre acquisire una sensibilità per come funziona l’attrazione e per come si libera quell’energia affidandola alla consapevolezza. Questa è un’inclinazione del cuore piuttosto che una tecnica, e la consapevolezza viene portata in primo piano attraverso la pazienza e la gentilezza. Rinunciamo quindi alle idee su chi siamo e su come le cose dovrebbero essere, e  respiriamo invece pazienza e gentilezza nell’attaccamento e nell’agitazione. Allora possiamo stare con l’attaccamento in un modo chiaro ma non giudicante.

Quando l’energia sembra cercare di gettarci all’esterno, limitiamoci ad aprire la consapevolezza, ampliamo e ammorbidiamo. Questo può richiedere di manifestare tutte le nostre pāramī; può esigere di essere più completi e reali che nelle nostre attività quotidiane. A volte sembra di trovare solo un punto di appoggio momentaneo. Ma un momento per volta è tutto ciò che ci serve, e in realtà è tutto ciò che abbiamo. Abbandoniamo quindi la personalità storica legata al tempo e lasciamo che l’onda ci passi attraverso. È come stare nel mare e lasciare che le onde sorgano, si infrangano su di noi e poi si abbassino. Se continuiamo a ritrarci dall’onda, quella ci insegue. Se restiamo fermi e lasciamo che l’onda scorra su di noi, manteniamo la nostra postazione nei confronti del dukkha. Vediamo che la sua natura è sorgere e cessare. Sappiamo che noi non siamo quell’onda, né siamo qualcuno che ha esperienza delle onde, oppure chi non dovrebbe averne alcuna esperienza. Non siamo presi all’amo dai suoni, dagli oggetti visivi, dai punti di vista o dalla loro assenza, o dall’essere o non essere qualcuno che li sperimenta. Se facciamo di questo processo una persona, siamo travolti dal flutto. Ecco il fine ultimo della rinuncia: abbandonare questi attaccamenti, la sensazione del bisogno inconscio di essere qualcosa e della propria insufficienza nel momento presente. Noi rinunciamo e abbandoniamo l’attaccamento a tutto questo, in modo che, invece di perderci e logorarci, ci riempiamo con la ricca essenza della consapevolezza.

L’illuminazione giunge attraverso la rinuncia

L’Illuminazione implica il far deragliare il senso di mancanza e decostruirlo. È lo sbarazzarsi di quella parte psicologica che in ogni momento dice: “C’è qualcos’altro che dovrei avere in questo momento. C’è qualcos’altro che adesso dovrei essere. C’è un altro luogo dove ora potrei andare. C’è qualcun altro che al momento sta meglio di me. Adesso non sono completo. Ora devo essere qualcosa”. Inseguendo tutto questo, la fame non se ne va. Può assumere forme più interessanti, può diventare più mirata, ma non se ne va con il riempirsi. Si dissolve attraverso la rinuncia. Dobbiamo lasciar andare il buco nero del “non basta”.

Anche se sembra un buco o la mancanza di qualcosa, è in realtà un blocco. È la pressione accumulata dei flutti. Ciò che è necessario allora non è riempire, ma liberare. A livello psicologico questo significa lavorare contro le correnti del bhava-vibhava. Cos’è che sembra sbagliato in questo momento? Cos’è che ora non dovrebbe essere qui?  Qualunque cosa sia, accettiamola. Più la rifiutiamo, più cresce. Come vogliamo che siano le cose in questo preciso istante? Abbandoniamole. Più le vogliamo, più lontano le cacciamo. La pratica della vita quotidiana consiste nel continuare a lavorare contro il bhava-vibhava, specialmente il vibhava che dice: “Sono stufo. Ne ho abbastanza. Non voglio essere in questa situazione. Non riesco a sopportarla neppure per un altro minuto!”. Accettiamolo; schiviamo il contenuto e diamo il benvenuto all’energia che sta sorgendo. Io lo trovo molto utile quando la mente si fa prendere dal panico.

La liberazione richiede una realizzazione relativa. In termini di Dhamma, questa realizzazione è la fioritura dei sette fattori di Illuminazione: 1) consapevolezza, 2) indagine introspettiva, 3) energia, 4) gioia, 5) felicità, 6) concentrazione 7) equanimità. Questi sono i fattori che cominciano a formarsi quando incontriamo il nostro mondo personale. Perciò, quando vogliamo conoscere noi stessi, piuttosto che affermarci, negarci, compiacerci o annullarci, quell’interesse sostiene la consapevolezza e l’indagine introspettiva.

Siamo saldamente i testimoni del nostro contenuto mentale, lo teniamo a mente e lo esaminiamo: “È utile? Conduce al mio bene o a quello di qualcun altro? Quanto è stabile e affidabile questo pensiero o questa emozione?”. Ciò sostiene le pāramī: vediamo come certe intenzioni, quali la generosità e la chiarezza etica, siano benefiche, e così via. Le pāramī allora sostengono i fattori di Illuminazione, perché ci danno intenzioni meritevoli che continuano a infonderci energia, mentre ci ritiriamo da quelle non salutari. E ciò dà alla mente chiarezza e contentezza. Nella meditazione, quando ci focalizziamo su questa contentezza, essa diviene gioia – un’energia elevata, pervasiva – e felicità, una sensazione di appagamento. Il focalizzarsi su di esse dà origine alla concentrazione, e questa sostiene l’equanimità – un equilibrio dell’energia con un senso di spaziosità.

il Sentiero richiede l’integrazione di tutti i livelli e in ciò le pāramī svolgono un ruolo importante. L’aspetto della rinuncia in questo veicolo è qui per addestrarci: non ci si deve attaccare a qualsiasi cosa si manifesti a qualsivoglia livello né a se stessi né a un sé cosmico. Quando questa lezione è appresa fino alle ultime propaggini del proprio sistema nervoso e psicologico, allora si può andare Oltre.

Suggerimenti sulla rinuncia / lasciare andare

La rinuncia porta chiarezza nei confronti dei bisogni e dei desideri. Ha un effetto corroborante in quanto ci offre la possibilità di dimorare liberi dalla pressione del consumismo e della posizione sociale. È anche un tonico per il cuore e un requisito per la meditazione, perché rivolge la nostra attenzione al confortevole qui e ora – non ci richiede di avere qualcosa o di essere qualcuno di speciale. Il presente sorge senza il nostro consenso. Lasciare che le idee e gli stati d’animo sorgano e passino nel presente, nello spirito di una gentile accettazione, porta all’insight e a una stabilità serena.

Riflessione

Immaginate di portare con voi, sulla schiena, ciò di cui avete veramente bisogno. Che cosa prendereste? Fra tutto quello che è rimasto, per che cosa fareste un secondo viaggio? Pensate che tra pochi anni saranno venduti articoli che sembreranno irresistibili – eppure oggi viviamo benissimo senza di essi. Dov’è la pressione consumistica? Ogni volta che avete la sensazione di “Non basta”, chiedetevi: “Quand’è che «bastava»? E quando «basterà»?”. “Tutto ciò che è mio, che io amo e considero gradevole, cambierà, si separerà da me”. Vero o falso? Considerate che quando moriamo non c’è niente che possiamo portare con noi – tranne la nostra struttura mentale. A cosa volete attaccarvi? Come sarà quando non ci sarà più? Potete adoperarvi fin d’ora per diminuire il vostro attaccamento?

Azione

Notate un oggetto che avete tenuto per anni su una mensola, o un libro su uno scaffale che avete letto molto tempo fa. Portatelo in un’altra stanza o mettetelo in un cassetto. Cosa manca? Come vi sentite? Interrompete un lavoro prima che l’energia si esaurisca, o quando si è esaurita. Considerate il senso di “non finito”. Quando mai sarà finito? Allenatevi a lavorare nell’ambito di queste linee guida; preparatevi fin d’ora a lasciare progetti incompiuti e, piuttosto che cercare di completarli, trascorrete qualche minuto a riordinare e a rendere più facile la ripresa del lavoro il giorno dopo o in un periodo successivo.

Meditazione

State in piedi con le gambe dritte. Rilassate la zona intorno alle ginocchia
in modo che le gambe non siano bloccate e il peso del corpo sia distribuito uniformemente sulle suole dei piedi. Lasciate pendere le braccia leggermente discostate dai fianchi e rilassate le spalle e il viso. State in piedi per cinque minuti, riconoscendo la spinta a fare, a sapere o a sentire qualcosa, ma rilassandola. Accettatevi così come siete adesso. Se avete più tempo, potete portare questo rilassamento nella posizione seduta. Un modo di coltivare la concentrazione e l’assorbimento meditativo è continuare semplicemente a rivedere ciò che fate mentalmente senza averne bisogno – preoccuparvi, pianificare, ambire a risultati – e smetterla. Nel contempo, riguardo alle vostre azioni salutari – sedere eretti, contemplare l’inspirazione e l’espirazione – “fatelo” accuratamente (si tratta di ritornarvi e rimanervi più che in ogni altra attività) e traetene diletto.

About Davide

age 51, may all beings live happily in peace

Posted on 09/03/2020, in Buddism and tagged , , , , . Bookmark the permalink. Leave a comment.

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