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Gli aggregati, i fattori mentali e la coscienza – Ritiro delle pioggie 2020 – Sorella Hoi Nghiem

In neretto la trascrizione della traduzione dell’insegnamento, in corsivo blu i miei commenti.

Dopo gli omaggi e i salti, Sorella Hoi parla del bellissimo tempo atmosferico che si gode in questa giornata di ritiro e raccomanda di fare una meditazione camminata dopo l’incontro per permettersi di godere il paesaggio e la natura che c’è intorno al luogo di ritiro. Durante la camminata è possibile essere consapevoli della madre terra che sostiene il nostro passo, in effetti la terra sopporta il passo di tutti gli abitanti della terra. Senza discriminare nessuno essa ci abbraccia tutti, perché sul nostro pianeta c’è abbastanza spazio per tutti e quindi non abbiamo nemmeno bisogno di invadere lo spazio altrui. Tenendo ben presente l’aspetto non discriminante della terra e il concetto di spazio a disposizione per tutti potremo calmare la nostra mente agitata, passo dopo passo, per entrare in contatto con le buone qualità del nostro essere interiore.

Un altro aspetto da considerare sempre a proposito della meditazione camminata è l’amore che la terra ci mostra offrendoci tutte le basi per potere permettere la vita su di essa: aria per respirare, terra da coltivare, acqua ber bere, fuoco per scaldarci, ecc … Sentendoci amati dalla terra vorremmo potere ricambiare tutto questo e il modo per farlo è rispettarla, preservarla, per fare in modo che possa continuare a rigenerarsi ed offrire le sue bellezze anche alle popolazioni future.

Noi esseri umani siamo composti da 5 aggregati senza i quali non potremo esistere.

Il primo è l’aggregato della forma. Il nostro corpo origina dall’amore dei nostri genitori che a loro volta sono il risultato dei loro genitori. Alla fine tornando indietro a ritroso noi siamo il risultato di tutti i nostri antenati e del loro amore; è grazie a tutti loro se noi adesso siamo qui. Ovviamente tutti coloro per vivere avevano bisogno di cibo, di acqua, di alberi e aria, che madre terra ha sempre fornito loro fin dagli albori delle antiche civiltà. Non solo, queste civiltà (così come noi oggi) avevano bisogno anche di una cultura, di educazione; se pensate bene sarete consapevoli che tutti questi elementi si sono sempre uniti per permettere al nostro attuale corpo di manifestarsi qui e ora. Se invece separiamo tutte queste condizioni dalla nostra possibilità di manifestarci come corpo esso non esisterebbe. Non separare significa vedere che in ogni corpo c’è il cibo, gli alberi, l’acqua, il sole che abbiamo grazie alla terra. E non solo! Il nostro corpo è anche il contadino che coltiva la terra grazie alla educazione e alla sua cultura, abbiamo le case grazie ai muratori, e così via. Nel nostro corpo c’è tutto questo, niente è separato (vedi concetto di inter-essere) , noi non possiamo esistere senza tutte queste condizioni, non possiamo esistere da soli.

Il secondo è l’aggregato delle sensazioni. Possiamo avere tre tipi di sensazione: piacevole, spiacevole e neutra. Anche per le sensazioni vale lo stesso principio che abbiamo visto per il corpo: esse non possono esistere da sole. Per esempio: io adesso vi sto parlando e se vi vedo interessati e partecipi della lezione allora sono felice, ma se vi vedo tristi oppure addormentati naturalmente non posso esserlo. Quindi anche le sensazioni sono inter-connesse, ed è difficile tenere una sensazione isolata che è differente da tutte le altre sensazioni delle persone che mi circondano o in un ambiente desolato, per esempio osservando un palazzo sventrato e gli interni devastati delle sue abitazioni, subito dopo un bombardamento di caccia militari .

Il terzo è l’aggregato delle percezioni. Ricordiamo che, come dice il Maestro Tich Nhat Hanh, circa il 90% delle nostre percezioni risulta erroneo, non conforme alla realtà. Abbiamo la tendenza a creare nella nostra mente una infinità di percezioni sulla base di quello che riusciamo a percepire (ricordiamo il più delle volte erroneamente), generando in questo modo una catena di deduzioni e nuove percezioni anch’esse totalmente non corrispondenti alla realtà delle cose. Per esempio durante la meditazione camminata di questa mattina abbiamo notato una persona che al posto di camminare quasi correva, senza guardarci e senza sorridere. Rientrati in stanza scopriamo che ci manca qualcosa e subito abbiamo la percezione che allora quello che correva ci aveva derubati: “Ecco perché si comportava così! Era un ladro!”. In seguito scopriamo che quello che credevamo ci fosse stato rubato lo avevamo distrattamente lasciato nel bagno e che quella persona correva perché sua figlia, anch’essa ospite della comunità, lo aveva mandato a chiamare perché si sentiva poco bene. La cosa importante è avere la consapevolezza che le nostre sensazioni possono essere erronee e porvi maggiore attenzione esattamente nel momento in cui esse sorgono. Dobbiamo domandarci se siamo veramente sicuri di quello che abbiamo pensato, più e più volte, prima di giungere ad una conclusione erronea basata su una percezione che era erronea. Un altro aspetto da considerare è che a volte noi abbiamo delle nostre personali percezioni anche in base alle percezioni altrui, che possono benissimo essere anch’esse essere erronee. Anche noi tendiamo a condividere delle percezioni con gli altri con un tono che esprime sicurezza in ciò che stiamo affermando, perché siamo convinti che sia la verità. Così accade che la persona alla quale ci siamo rivolti ci creda e a sua volta trasferisce il messaggio ad un altra, e così via, dando origine ad un ciclo negativo basato su un unica percezione erronea: la nostra. Dobbiamo stare molto attenti.

Il quarto è l’aggregato delle formazioni mentali. I testi di riferimento dicono che ne esistono 49, (51 se includiamo anche le sensazioni e le percezioni). Alcuni esempi sono la rabbia, la pace, l’ansia, la vergogna, l’arroganza, la gentilezza, ecc … Come le precedenti anche le formazioni mentali sono interconnesse alle formazioni mentali delle altre perone, e non esistono da sole e separate. Per esempio un gruppo di persone tranquillo sta conversando amabilmente, tutti rispettano il loro turno di parola, insomma sono tutte in uno stato di pace. A un certo punto arriva un’altra persona agitata, che urla ed anche arrabbiata. La pace del gruppo si è dissolta, non c’è più. Ha lasciato l posto all’ansia. o al fastidio. Una storiella zen narra di uno studente che chiede al suo maestro di aiutarlo a calmare la sua mente sempre agita. Il maestro gli rispose: “Porta qui la tua mente e io lo farò”. Lo studente cercò di trovare la sua mente da qualche parte, ma non riuscendo a trovarla tornò dal maestro disse che non poteva portargliela perché non c’era da nessuna parte. Fu allora che il maestro disse: “Vedi? Ho già iniziato a calmare la tua mente”. Il significato dell’esempio e della storia è quello di arrivare alla consapevolezza che la mente non ha una vocazione, non è sempre in un modo o in altro (in un posto o in un altro). Lo stesso vale anche per le sensazioni, percezioni e il corpo: non hanno una locazione specifica, dov’è la tua rabbia? Dov’è la tua sofferenza? Dov’è il tuo giudizio? E dov’è il tuo corpo, o la tua vita?

Per rispondere occorre avere la consapevolezza che certamente il corpo, le sensazioni e tutto il resto ci siano, ma che non sono i tuoi! Dobbiamo guardare le formazioni mentali (e tutti gli altri aggregati) più in profondità per scoprire la loro vera natura; essi sono tutti oggetti da contemplare.

Il quinto è l’aggregato della coscienza. Come dicono gli insegnamenti di filosofia Buddista, qui occorre specificare che stiamo parlando di coscienza deposito e non di coscienza mentale.

Come la madre terra la coscienza deposito non è discriminante e contiene in sé tutti i semi come amorevole gentilezza, compassione, perdono, comprensione, tolleranza, che sono qualità meravigliose, ma anche qualità negative come ingoranza, rabbia, odio, orgoglio, egoismo, illusione, avidità ecc … Questi semi sono il potenziale della coscienza mentale. Quando si verificano delle particolari condizioni, questi semi maturano e danno origine, nel campo della coscienza mentali a tutte i tipi di formazioni mentali. I semi delle qualità negative come l’ignoranza, l’odio e la avidità hanno tutti origine da un certo tipo di energia che è quella dell’attaccamento (alle proprie idee, al rifiuto di altre persone, al non volersi separare dalle cose o dalle persone). Per esempio quando vediamo un bel fiore vogliamo strapparlo e possederlo, lo vogliamo solo per noi e quindi pensiamo anche che sia giusto averlo. Se non osserviamo la nostra mente è questo che succede, noi lo raccogliamo quel fiore. Se anche quel fiore appartenesse a qualcun altro escogiteremmo mille sotterfugi pur di averlo. Finché non lo abbiamo tutto per noi la nostra mente non è in pace. Quando la mente non è in pace è l’attaccamento all’idea di possederlo e l’aggrapparsi all’idea che il fiore sia bello di per sé che impedisce alla mente stessa di lasciare andare che entra in uno stato di sofferenza. Se noi soffriamo non è per il fiore (non è colpa del fiore), ma è solo per l’attaccamento. Ma attenzione, non dobbiamo nemmeno colpevolizzarci per desiderare un oggetto piacevole, questo è normale per la quasi totalità di esseri. Solo se stiamo attenti alla nostra mente, se la osserviamo più in profondità riusciamo a capire che se la sofferenza è causata solo dal seme dell’attaccamento, tutto quello che dobbiamo fare è non farlo maturare nella nostra coscienza mentale, e questo si ottiene solo con il lasciare andare.

Ma lasciare andare che cosa? L’attaccamento alla possessione, alla bellezza assoluta dell’oggetto piacevole, al desiderio di averlo, alla rabbia se non lo possiamo avere, all’odio, all’invidia verso chi lo possiede, all’orgoglio di possederlo, all’avidità di non condividerlo con gli altri.


L’attaccamento è un tipo di energia molto forte, che esce dalla coscienza mentale, va nella coscienza mentale e poi torna di nuovo nella coscienza deposito come a chiudere un cerchio, perciò la chiameremo “funzione circolare” (vedi immagine soprastante) al cui interno si trova tutto quello con cui noi ci identifichiamo usando l’aggettivo identificativo IO (io faccio, io sono, io dico) e per cui noi arriviamo ad esclamare “questo è mio!”. E’ proprio questo tipo di funzione circolare a causare molti, molti problemi e sofferenze. E perché il cerchio è causa di sofferenza? Perché non è in grado di vedere che siamo interconnessi e percepisce le cose come delle entità separati, esistenti di per sé, assolute, solide realtà non soggette a nemmeno al cambiamento. Io sono diverso da te, tu sei fuori di me, io non ho niente a che fare con te … Questa funzione circolare si manifesta in tal modo nella nostra mente. Dato che questo cerchio vede che “io sono diverso da te” allora inizia fare delle comparazioni, dei confronti, perché non è in grado di vedere l’inter-connessione, non vede l’unione. Io sono meglio di te, tu sei peggio di me io sono più abile, io sono attento e tu no. Il reciproco confronto crea complessi di inferiorità e superiorità che da sempre generano forti sofferenze, sia in noi che agli altri.

Quando notiamo che nella nostra mente sorge una sorta di confronto, ora sappiamo da quale funzione viene attivata, quindi la nostra pratica agisce sul cerchio attraverso l’esercizio dell’attenzione e lo sviluppo della saggezza. ci sono due tipi principali di saggezza . Una è la saggezza ottenuta per analizzare qualcosa (analitica) e saggezza radice con la pratica ci calmiamo e lasciamo calmare anche tutte queste formazioni mentali. Quando siamo calmi è possibile accedere alla saggezza radice possa manifestarsi e quando si manifesta la funzione circolare si trasforma del tutto diventando la saggezza del grande specchio perfetto che ci permette di vedere le cose, le formazioni mentali (e i fenomeni) nella loro vera natura, la loro vera realtà, così come sono. Non solo nella loro forma, ma anche con la consapevolezza che ci sono molte condizioni che si uniscono affinché possano manifestarsi. Per esempio come il fiore ha bisogno della terra, del sole e dell’acqua per manifestarsi, così pure le azioni (mentali, verbali e fisiche) necessitano di determinate condizioni per manifestarsi. Un altro esempio noi siamo qui e viviamo questo evento, una giornata di consapevolezza che si manifesta non per merito di una singola persona ma per un un insieme di persone che si sono raggruppate e che hanno fatto delle azioni per raggiungere uno scopo (chi pulisce, chi cucina, chi si occupa dei letti, chi organizza, ecc … Effettivamente, se poi osserviamo più in profondità, comprendiamo anche che questo evento non ha bisogno di una specifica persona che faccia una determinata cosa, ma solo delle condizioni che permettono il suo manifestarsi. L’evento non ha bisogno di persone specifiche e nemmeno di una singola condizione, ma dipende dall’insieme di tutto (persone e condizioni). Quando ci capita di pensare “Io lo devo fare, sono io che lo faccio”, allora sorgono problemi che si creano perché così pensando abbiamo inserito un SE, che è coinvolto e che è stato creato dalla funzione cerchio. Invece è per opera della comunità che attraverso le singole persone mette in campo tutte le competenze necessarie. La comunità è come una famiglia in ogni componente fa qualcosa per aiutarla ad essere felice. Bisogna prenderci cura di noi stessi, evitando di pensare in questo modo che può creare molta sofferenza sia in noi che agli altri, come ad esempio dire: “io faccio tutto lavo, stiro e cucino, e tu non fai nulla”. Prendendoci cura di noi stessi ci prendiamo cura anche degli altri, non solo in ambito familiare ma anche in fuori dalla famiglia, al lavoro, con gli amici, ma anche con quelli che non conosciamo (e con i nostri nemici), insomma con tutta la madre terra. E’ proprio grazie alla diversità che esiste tra tutte le persone, che una comunità sia variegata che ci rende felici, se fossimo tutti uguali e ci comporteremmo o penseremmo tutti allo stesso modo sarebbe estremamente noioso. La diversità rende la società più viva, più vivace, la rende più gioiosa, ogni persona ha dentro di se il potenziale per diventare un Buddha, tutti hanno una loro qualità positiva.

Noi dobbiamo cercare di riconoscerle ed interagire con esse attraverso queste qualità, cercando di imparare qualcosa di nuovo e permettere anche agli altri di manifestarle e anche di svilupparle. Questo fa parte del prenderci cura di noi stessi e degli altri.


Domanda: Sorella, potrebbe descrivere con più precisione le formazioni mentali?

Risposta: Quando qualcosa si manifesta c’è una forma, proprio una formazione nel vero senso della parola. Ad esempio il nostro corpo o questo tavolo sono definiti formazione fisica, i nostri pensieri invece sono una formazione mentale e ne esistono numerosi tipi come rabbia, attaccamento, ignoranza, dubbio, amore, compassione, gentilezza, pazienza, paura, pentimento, vergogna: alcune creano sofferenza ed altre felicità. Tutte queste formazioni sono nella coscienza deposito, sono come dei semi e sono sempre presenti nella coscienza (deposito) anche quando non si manifestano. Solo quando si verificano determinate condizioni maturano e passano alla loro manifestazione nella coscienza mentale, causano sofferenza o felicità a seconda del tipo di seme. Ad esempio la rabbia: non è che ci piace essere arrabbiati e lo diventiamo a nostro piacimento, la rabbia diventa una vera e propria manifestazione e ci fa soffrire solo perché tante condizioni si sono sommate insieme ed hanno reso possibile tutto questo. Di solito funziona così per la rabbia: io dico ad una persona di non fare una cosa, e lei continua, poi la rivedo ancora compiere quella azione e lei continua, alla ennesima volta che la vedo compiere quella stessa azione comincio a provare rabbia verso di lei. Ho annaffiato il seme più volte fino a che questo si è sviluppato. Le persone hanno più formazioni mentali, ma c’è una differenza tra di loro nella potenzialità del seme: per esempio in alcune di esse la rabbia potrebbe manifestarsi più facilmente che in altre, ci sono alcuni che appena vedono qualcosa che non gli piace subito prendono fuoco e si arrabbiano, ad altre invece ci vuole molto di più del semplice notare qualcosa, per esempio alcune si arrabbiano solo quando vengono offese. A parità di condizioni che si sommano insieme due persone reagiscono diversamente;

quelle in cui la potenzialità del seme è più forte hanno una soglia più bassa di manifestazione della relativa coscienza mentale ad esso collegata.

Cosa possiamo fare allora per cercare di soffrire di meno? Se noi siamo consapevoli di essere una persona che si arrabbia facilmente vuol dire che il seme della rabbia nella coscienza deposito è molto potente. Occorre abbracciare questo seme, sorridiamo ad esso, prendiamocene cura e cerchiamo gradualmente di calmarlo. Col tempo il seme si indebolirà e quando di fronte alle stesse condizioni vediamo che il frutto del seme si manifesta più lentamente o neppure si manifesta (ad esempio ci arrabbiamo di meno o per nulla affatto) questo è un segno che la nostra pratica sta funzionando. Come ho detto prima siamo il risultato della unione di tante condizioni diverse, non siamo fatti di un unico elemento, i genitori ci hanno dato il corpo, l’ambiente familiare nei primi anni di vita ha influito sul nostro carattere, gli insegnanti hanno formato la nostra cultura di base e il contesto sociale ha plasmato il nostro comportamento. Siamo tutti immersi nello stesso ambiente ma abbiamo un background differente, quindi reagiamo in maniera diversa in base a quello che è il nostro modo di essere cresciuti. Questo fatto è alla base della differenza tra le formazioni mentali delle persone. Quindi guardando più in profondità possiamo arrivare a capire gli altri.

Come dobbiamo prenderci cura dei nostri semi negativi, dobbiamo anche cercare di rinnovare e potenziare i semi positivi. Come fare questo? Con l’abitudine ai comportamenti virtuosi che originano dalla manifestazione dei semi positivi. Se ci abituiamo a compiere azioni positive, col tempo questo comportamento diventerà automatico e non avremo più bisogno dello sforzo iniziale: con l’abitudine il seme positivo diventa più potente quindi allo stesso modo in cui una persona che ha il seme della rabbia più potente si arrabbia facilmente, una persona che ha il seme della gentilezza potenziato è automaticamente gentile, con tutto e tutti. Ad esempio se sappiamo che in noi il seme della amorevole gentilezza non è potente, possiamo annaffiarlo tutti i giorni attraverso l’azione dell’offrire qualcosa a qualcuno tutti i giorni, anche un semplice gesto gentile, un sorriso. E’ possibile offrire non solo qualcosa di materiale, anche una azione verbale come dire qualcosa di carino magari ad un familiare. Per potenziare la compassione oltre a tutte le precedenti, quando ci troviamo davanti ad una persona sofferente, possiamo rivolgere un desiderio sincero affinché possa liberarsene. Questa deve essere la nostra pratica di tutti i giorni. Per esempio ogni giorno quando mi sveglio al mattino scelgo una qualità positiva da sviluppare attraverso il compimento di azioni mirate a tale scopo. Col tempo queste qualità arrivano a manifestarsi spontaneamente così come le azioni positive che da esse originano saranno eseguite naturalmente, senza sforzo .


Domanda: Sorella, qual’è la differenza tra formazione mentale e la funzione circolare?

Risposta: la funzione circolare arriva dalla coscienza deposito va nella coscienza mentale e poi torna in quella deposito come per abbracciarla e non la lascia libera, se ne appropria. Per esempio voglio offrire un fiore molto bello ad un mio amico, ma dato che la funzione circolare è caratterizzata dall’attaccamento essa non mi permette con facilità di fare il regalo ed ho la tendenza a tenerla per me. Io ho un intenzione positiva ma c’è qualcosa in me che mi previene dal portarla a termine. Io ho una intenzione positiva che origina dal seme della generosità che diventa formazione mentale quando si manifesta l’azione collegata che viene portata a termine. Ma sotto l’influsso della funzione circolare questo non avviene. La funzione circolare è preventiva, impedisce ai semi di manifestarsi. Esce dal suo deposito manifestandosi solo il tempo per impedirmi di fare l’azione gentile e poi quando me lo ha impedito torna di nuovo nel deposito senza manifestarsi pronta per un altra volta. Ecco qual’è la differenza tra una formazione mentale e la funzione circolare: la prima si manifesta con il compiersi di una azione e la seconda pur manifestandosi brevemente è solo preventiva di un azione. Un esempio potrebbe essere quello di un edera che nel caso abbracciasse il tronco di un albero in maniera molto invasiva arriverebbe ad impedirne lo sviluppo se non addirittura ad ucciderlo. Un altro esempio di azione della funzione circolare potrebbe essere quello di impedirci di perdonare una persona che ha compiuto un gesto offensivo nei nostri confronti facendoci soffrire per paura che se ciò avvenisse essa potrebbe in futuro tornare ad offenderci e a farci soffrire nuovamente. Torno a ribadire il concetto: quando il perdono si manifesta è una formazione mentale, mentre quando la funzione circolare si manifesta (seppur brevemente) per impedirci la formazione mentale del perdono, tornando subito nella coscienza deposito, non può essere considerata a tutti gli effetti una formazione mentale.


Domanda: Sorella, dove sono i sensi nello schema che ha proposto?

Risposta: Sono nella coscienza. Di fatto gli organi di senso sono una coscienza sensoriale che è costituita dalle parti fisiche. Abbiamo quindi la coscienza visiva, uditiva, olfattiva, uditiva e gustativa che permettono la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto. Dal momento che però senza la coscienza mentale essi sono pure parti fisiche che non poterebbero manifestarsi, possiamo affermare che i sensi sono nella coscienza mentale.

Se osserviamo lo schema nella sua interezza vediamo che abbiamo diversi modi di chiamare la coscienza, possiamo arrivare ad 8 tipi di coscienza: la coscienza deposito, mentale, il cerchio e le cinque coscienze sensoriali. Per esempio quando dormiamo le ultime cinque non fanno parte della nostra coscienza in quel momento ed entrano in pausa sopratutto quando non stiamo sognando. Al contrario la coscienza deposito è sempre presente. Andando avanti possiamo dire che quando usiamo la coscienza mentale, quando cioè abbiamo la manifestazione dei fattori mentali, c’è più consumo di energia rispetto a quando non la usiamo, per esempio quando siamo in pace e in condizione contemplativa (in questo caso siamo solo in presenza della coscienza deposito). C’è meno energia consumata perché non dobbiamo fare niente di specifico.


Domanda: Sorella, potrebbe consigliarmi come fare a soffrire di meno in questo momento in cui affronto la malattia, nel vedere le tante persone che soffrono a causa del Covid ed eventualmente cosa fare per aiutare gli altri?

Risposta: Quando il corpo soffre a causa di malattia si può provare dolore e di conseguenza anche sofferenza mentale. Inevitabilmente non potremo sottrarci al confronto con il nostro dolore, con la sua sensazione di sofferenza, ma possiamo agire sulla sofferenza mentale. Quest’ultima sorge a causa della nostra paura di morire o di non guarire completamente, che nessuno si prenda cura di noi, della mancanza di fiducia in coloro che ci assistono o di diventare un peso per la società. Esiste però una pratica spirituale per abbracciare queste paure che si manifestano, ed è quella di tornare a noi stessi. Consiste nel tonare al nostro corpo evitando di pensare troppo alla malattia calmando i nostri pensieri negativi. Quando focalizziamo l’attenzione sul nostro corpo possiamo sentire dove la malattia o la sofferenza si accumula, dove fa più pressione, magari nel petto o nel ventre, e con la mente possiamo “massaggiare” quel punto, prendercene cura. Soffriamo in realtà perché continuiamo ossessivamente a pensare alla malattia senza curarci del corpo. Più pensiamo alla malattia più siamo terrorizzati e più soffriamo, ma tornando al corpo evitiamo di mettere instauriamo una calma che impedisce di mettere in moto i pensieri che causano le paure origine della sofferenza mentale. Il corpo alla fine è la nostra casa pur sempre accogliente anche se malaticcia, in esso ci sentiamo più al sicuro e abbiamo meno paura. Ricordiamo quindi che la pratica parte sempre da noi stessi, perché se non riusciamo ad aiutare noi stessi come possiamo prenderci cura degli altri?

Per esempio quando abbiamo mal di testa e sentiamo premere sulle tempie e torniamo nel corpo ad abbracciare le tempie e a sorridere con gentilezza alla nostra sofferenza riusciamo pian piano a calmarci e quindi in uno stato di calma vedere meglio le nostre emozioni e vedere anche con più chiarezza le cause della sofferenza: cos’è che ha causato questo mal di testa? Magari una situazione che ci ha fatto pensare tanto o che non riusciamo a comprendere o a sopportare mentalmente. Dobbiamo anche essere consapevoli, meditare, visualizzare la situazione in cui un giorno invecchieremo, ci ammaleremo e moriremo.

Questo è meditare sull’impermanenza, sulla caducità delle cose e dei fenomeni e dobbiamo farlo tutti i giorni poiché per trasformare la sofferenza e la paura che abbiamo occorre tanta pratica. Meditare sull’impermanenza dei fenomeni significa anche diventare consapevoli che non solo le situazioni piacevoli sono destinate a non durare per sempre, quindi anche la malattia e le nostre sofferenze non sono destinate a rimanere con noi per sempre! Invece noi abbiamo la tendenza a deprimerci pensando che il nostro patire durerà troppo tempo e noi non possiamo mai liberarcene. Quando poi magari dopo un paio di giorni la malattia e le sofferenze passano, potremo sperimentare felicità: in questo caso ricordiamoci anche dei giorni in cui eravamo ammalati, questo aiuta a comprendere meglio l’impermanenza.

Soffriamo anche perché ci arrabbiamo se non riusciamo presto a guarire, noi non vogliamo la malattia, e questo è l’attaccamento al desiderare allontanarci da ciò che non ci piace. Da qui lo spunto per contemplare anche l’attaccamento al nostro stato di salute: pretendere che staremo sempre in salute. Non abbiamo pazienza di aspettare che la malattia se ne vada ed è anche per questo che ci arrabbiamo; da qui lo spunto per coltivare la qualità della pazienza e della calma. Con una mente più serena e pacifica anche il processo di guarigione può accelerare.

Un altro aspetto da considerare in questo contesto di malattia sono le condizioni che si sommano e che originano il nostro stato di sofferenza. Ad esempio se un familiare o un amico sono ammalati ricordiamoci che l’amorevole gentilezza e la compassione oltre ad essere di conforto ai malati che vedono che c’è qualcuno che si occupa di loro, aiuta noi a sviluppare le nostre buone qualità.

Quindi non aspettiamo il giorno in cui saremo ammalati per contemplare l’impermanenza e l’attaccamento, a praticare la compassione, e a sviluppare la pazienza. Esercitiamoci tutti i giorni a coltivare le buone qualità ed essere pronti a relazionarci meglio con qualcosa di più impegnativo nel momento in cui dovremo affrontare dei periodi difficili. Ok c’è una malattia, sto soffrendo, ma posso ancora sorridere e abbracciarmi, posso ancora osservare le meraviglie della natura, posso ancora camminare. Non aspettiamo a perdere la vista o l’uso delle gambe, non aspettiamo a comprendere la meraviglia della nostra vita: esercitiamoci nella pratica, possiamo farlo proprio a partire da questo momento.

La vera natura della realtà in relazione al concetto del “sé”

Sono sempre più piacevolmente sorpreso di come spesso la filosofia Buddista coincida con una visione moderna sulla natura dei fenomeni. Vado a presentarvi adesso il modo in cui il Buddismo descrive come avviene l’esperienza personale della realtà attraverso i 5 aggregati e come essa sia legata al concetto del Sè (o Io):
1) Attraverso i sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto, mente) si viene a contato con la realtà
2) la coscienza ci rende consapevole dell’oggetto dell’esperienza che al momento è ancora indefinito
3) la percezione (concetto, idea): da un nome all’oggetto dell’esperienza
4) la sensazione (emozione): ci da una dimensione emotiva dell’oggetto dell’esperienza (piacevole, spiacevole, neutra)
5) la volizione e i fattori mentali (dimensione morale): in base alle esperienze vissute (fattori mentali) creano la reazione all’oggetto (volizione) la quale può avere conseguenze positive, negative o neutre (creano il Karma).

Questi processi avvengono molto velocemente, durano meno di una frazione di secondo e noi a volte non ce ne accorgiamo nemmeno, ma se ci pensiamo bene è proprio così che viviamo la realtà che ci circonda. Facciamo l’esempio di stare camminando sul marciapiede, di notte in un quartiere malfamato. Una persona ci viene incontro e noi vediamo che tira fuori qualcosa di metallico da una tasca. In questo momento noi abbiamo usato il senso della vista e attraverso la coscienza siamo diventati consapevoli che qualcosa è stato tirato fuori dalla tasca, ma questo qualcosa è ancora indefinito. Solo quando entra in gioco la percezione ci accorgiamo che ha in mano un coltello, proviamo paura e scappiamo via.

E’ solo attraverso questi 5 aggregati che si vivono le esperienze personali. Ma chi è la persona che vive l’esperienza? E’ il “sé” (o “Io”) che quindi viene a esistere solo nominalmente quando stiamo vivendo una esperienza personale. Esso sparisce se non c’è interazione con la realtà. Il sé non è il semplice insieme dei 5 fattori e nemmeno si trova in uno di essi. Per esempio una automobile ha le ruote, i sedili, il volante posizionati in un certo modo ben preciso. Quando ha queste caratteristiche io la chiamo automobile e la percepisco come tale. Se io però ho lo stesso le ruote, i sedili e il volante ma per esempio metto i sedili sull’asfalto, le ruote sopra i sedili e il volante dentro le ruote, anche se i costituenti sono gli stessi di certo non percepisco questa “aggregazione di pezzi” come una automobile. Allo stesso modo il sé non è né l’aggregato fisico dei 6 sensi, né la coscienza e nemmeno la percezione, sensazione o volizione, e non è nemmeno la somma di questi.
Non esiste “Io indipendente” o un “Sè innato” al di fuori, separato dai fattori fisici e mentali dell’esperienza personale. Questo a cosa ci porta? A comprendere che il “sé” è solo un nome convenzionale per un insieme di fattori che anche presi singolarmente sono sempre in continua trasformazione, sono impermanenti, perciò lo diventa anche il concetto del “sé” o “Io”.
La visione errata di un “Io” indipendente è alla base delle afflizioni mentali quali ignoranza, egoismo ed attaccamento che sono le radici della sofferenza. Quando si vive un esperienza non dobbiamo credere che ci sia un “Io fisico” che la sta vivendo, non c’è un “Io e gli altri”, “Io e questo oggetto” (non c’è dualità) ma solo un “Io nominale” che in quel momento sta sperimentando qualcosa.
La visione corretta della realtà è vedere l’esperienza personale come un processo di funzioni impersonali piuttosto che attribuibile al sé; questo atteggiamento ci porta a sviluppare la saggezza del non sè. Ci permette di non provare attaccamento e/o avversione nei confronti dell’oggetto dell’esperienza, di non essere egoisti, di non avere paura di dovere difendere questo “Io indipendente” e le sue idee, di avere un atteggiamento di equanimità, di aiutare a superare i turbamenti emotivi di speranza e paura verso le cose del mondo; insomma ci permette di vivere la vita quotidiana liberamente, con maggiore consapevolezza e serenità.

DAVIDE

Vacuità dell’Io e meditazione

La vacuità

Noi siamo abituati dalla nostra mente “ordinaria” a percepire la realtà che ci circonda e tutti i fenomeni che la compongono attribuendogli una natura fissa, immutabile, tendiamo a pensare: “questo e così, è bello!” oppure “non mi piace!” ancora “quella persona è cattiva”; tendiamo cioè a giudicare tutto e tutti come se solo quello che pensiamo noi sia vero oppure che sia così sia anche per tutti gli altri. Proviamo ad immaginare che a due persone diverse venga chiesta una opinione su di una stessa persona: ognuno dei due darà un giudizio che si basa sui propri pre-concetti e sulla propria idea che si è fatto, e pur essendo la persona valutata la stessa per tutti e due, il giudizio su di essa sarà diverso. Non si può stabilire quindi un giudizio ‘reale’ che sia valido per tutti, sarebbe come chiedersi: “chi dei due ha torto e chi ha ragione?”. La risposta è: “tutti e due e nessuno”.
A questo punto potrebbe diventare più facile capire che:
la realtà e i fenomeni che noi siamo abituati a percepire sono quelli che vengono “filtrati” dai nostri 5 sensi, perciò dobbiamo essere consapevoli che non esiste una realtà definita uguale per tutti. Questo è dovuto al fatto che qualsiasi fenomeno di cui facciamo esperienza altro non è che una nostra personale interpretazione che origina della elaborazione della nostra mente, la quale traduce i segnali percepiti dai nostri sensi. Un oggetto o fenomeno o sensazione (insomma tutto!) viene percepito in maniera differente da ciascun individuo, questo perché tutti noi di solito siamo portati ad apporre una sorta di etichetta (o giudizio) a tutto quello che sentiamo e vediamo, quello che per me può essere una cosa piacevole ad un altro può non piacere, quindi non può esserci un valore assoluto attribuibile a nessun oggetto.
Una altra considerazione da fare è che anche per un singolo individuo una qualsiasi situazione, fenomeno, oggetto, ecc. ecc. che oggi può essere piacevole domani potrebbe non esserlo più, perché tutto muta, possiede la caratteristica dell’impermanenza, non è durevole e immutato nel tempo. Per esempio quante volte vi è capitato di pensare che una cosa era in un modo e poi si è rivelata essere in maniera diversa oppure di cambiare opinione su una persona?
Qui bisogna fare attenzione a capire che la realtà non è che non esiste per niente, ma non esiste in maniera assoluta, è vuota di una esistenza indipendente. Indipendente da che cosa? Da quello che ognuno di noi percepisce.
Tutti i fenomeni, come abbiamo detto fino a qui, sono allora da considerarsi privi di un sé, vuoti di identità a sé stante, di un esistenza intrinseca, sono impermanenti, non esistono al di fuori della nostra mente in maniera assoluta e immutabile proprio perché è la nostra mente ad elaborarli e nessuno possiede una natura indipendente perché dipendono da quello noi percepiamo. È questa la vacuità!
Dal momento che la realtà è composta dai fenomeni che percepiamo possiamo concludere che la realtà possiede la caratteristica della vacuità.
È questa la realizzazione della vacuità della realtà.
La nostra mente “ordinaria” non riesce a percepire la vacuità, al contrario tratta la natura dei fenomeni come se fossero indipendenti e stabili, dotati di natura immutabile e certa, per questo bisogna realizzare la vacuità e liberarci da questo meccanismo che crea una realtà illusoria e che porta sofferenza.

La vacuità dell’io

Per prima cosa, senza eliminare la concezione concreta dell’ego è difficile trasformarsi, quindi è molto importante riconoscere il vero modo di esistere dell’io. L’Io, di per sé, non può mai essere visto come sostanza, non può mai essere fermato, ma può essere colto in funzione. L’Io è come una corrente elettrica, per mezzo della quale manifesta se stesso attraverso una consecutive energie in funzione. Si manifesta anche semplicemente ogni volta che si percepisce qualcosa attraverso i sensi, ogni volta che pensiamo “io e gli altri”, insomma l’Io di per sé non esiste, si attiva solo in conseguenza di qualcos’altro, sia esso una sensazione o la mera individuazione di se stessi rispetto agli altri. Non esiste in quanto anche gli altri diventano”Io” quando sono loro ad individuarsi in mezzo alla gente, quindi non esiste nemmeno in senso assoluto: è svuotata dal senso comune di entità fisica a se stante.
La stessa esistenza della persona, la vita, il corpo fisico, il respiro, la parola, la capacità di ascolto, la comprensione, l’ignoranza, il peccato, il male ed il bene, nonché lo stesso Karma testimoniano questo punto di aggregazione chiamato, convenzionalmente, “Io”. Ma tutte quelle cose, in realtà, non sono che mere correnti di energia, prodotte dalla nostra mente e che si uniscono fluttuando come semi di una collana intorno ad un filo invisibile, che possiamo chiamare “ l’Io”.
Usate la vostra saggezza, siate semplicemente consapevoli di ciò che sentite. La vostra normale consapevolezza è sufficiente, non è una cosa estremamente difficile, sapete. Molti pensano che la vacuità sia difficile. Sunyata non è difficile. Perché no? Perché se riconoscete che questa falsa proiezione dell’Io, questa illusione è solo una vostra interpretazione e non esiste realmente nel modo in cui vi appare, allora potrete capire la vacuità. Non è necessario studiare una complicata filosofia. E’ un dato di fatto.
La cosa importante è essere sempre consapevoli di come il vostro ego e la vostra mente percepiscono la realtà: “Sono una persona meravigliosa, sono un fallito, sono così e così … “. E’ sufficiente osservare la vostra interpretazione della realtà, questo è già abbastanza.
La nostra impressione dell’ego è che ci sia un ‘lo’ qui, da qualche parte, dentro questo corpo, che ci aspetta per dirci: “Ciao!”. Il nostro abituale concetto del modo di esistere dell’io è credere che esso sia qualcosa di indipendente. Dovete riconoscere questo processo e comprendere che questa interpretazione non corrisponde alla realtà.
Questa è sunyata. La mente ordinaria e superficiale applica un nome al corpo e quello diventa “lO”. In altre parole, la realtà di “lO” consiste solo in un nome, un’etichetta.
Ma la cosa interessante è la psicologia dell’ego. L’ego non vuole ammettere di essere solo un nome. L’ego vuole qualcosa oltre a un nome, vuole qualcosa con cui identificarsi. Il semplice nome non è abbastanza soddisfacente per l’ego. Ma la verità è che un nome è solo un nome.
Nel Buddhismo, quando cercate sunyata, nel momento in cui siete consapevoli, quel tipo di attenzione distrugge l’apparente auto-esistenza che è qualcosa di totalmente irreale. Questo è il modo di cercare sunyata. Semplicemente eliminare il falso modo in cui l’io appare, questo è sunyata. L’abilità consiste nell’osservare !’interpretazione dell’ego, come l’ego interpreta la realtà. Dovremmo sviluppare questa capacità. Perché? Perché quando non la si osserva, non la si controlla, la proiezione dell’ego continua, come una danza, ma nel momento in cui si osserva sparisce. Capite? È come un trucco. E’ come una certa spiegazione data nella religione hindu: il Principio della Vita crea le situazioni del desiderio e quando la persona che medita improvvisamente realizza che queste situazioni sono tutte manifestazioni di quel Principio, a quel punto, il Principio le elimina; all’improvviso l’oggetto creato dal Principio viene eliminato. Finché io ignoro questo Principio, egli produce per me gli oggetti del desiderio, per illudermi di più; produce ulteriori oggetti di odio, ulteriori oggetti dell’ego. Poi, quando medito e comprendo che tutte queste cose sono manifestazioni di questo Principio, allora il Principio improvvisamente le toglie di mezzo.
Ora, quando non lo osservate, l’ego è molto grande, è qualcosa di incredibilmente corposo che danza di continuo, ma sparisce nel momento in cui lo guarda e lo si osserva. Nel momento in cui riconoscete che quell’io concreto e incredibilmente forte e assolutamente inesistente, è solo una vostra proiezione, allora scoprirete sunyata.
Quindi ogni volta che si manifesta l’eccitazione emotiva, arriva una forte proiezione dell’io, e quello è il momento adatto per riconoscerlo. Lo si può fare quando si è arrabbiati: quello è un momento molto importante. Altrimenti se siete in pace, come certamente siete ora, magari il vostro io che sembra esistere concretamente è sparito o dimenticato. Il punto principale su cui lavorare è il nostro ego istintivo, l’ego innato. E’ sempre lì, fin dalla nascita. Questo ego istintivo proietta continuamente un io esistente di per sé, per questo è così tenace.
Dovete osservare come l’ego interpreti continuamente l’io e come a un certo punto questo scompaia, diventi inesistente. Mantenete costantemente questa consapevolezza: questa è la meditazione su sunyata. Quando si annulla l’interpretazione egoistica dell’io, a volte potete provare paura, una specie di paura istintiva: “allora io non esisto”. Avete l’impressione di non esistere e avete paura, toccate il vostro corpo, spesso questa esperienza avviene così. Può succedere in qualsiasi momento, come un lampo. A un Certo punto, quando si osserva correttamente, può verificarsi l’esperienza di sunyata, in qualsiasi momento. Allora mantenete questa memoria senza nessun pensiero concettuale, lasciare fluire senza mettervi a pensare a questo o a quello. Quando si presenta il pensiero discorsivo, fermatevi, semplicemente.
Qualsiasi impressione, per esempio che questo fiore esista a prescindere dal suo ambiente, è sbagliata, non arrivate a questa conclusione. L’importante è percepire almeno un certo grado di non esistenza, come per esempio: “lo non esisto indipendentemente da un “me” designato, tu non esisti indipendentemente da un “te” designato, questo oggetto non esiste indipendentemente dal suo contesto”.u
Si diventa quasi convinti di essere completamente inesistenti. Parlo di un’esperienza. L’esperienza dovrebbe essere di totale inesistenza. Quando l’interpretazione egoistica dell’io, che è cosÏ forte, sparisce, allora si arriva quasi a sentire che tutto è inesistente.
Non parlo di un’esperienza nichilista, che nega ogni esistenza. Naturalmente sentite che il vostro corpo esiste, ma allo stesso tempo sentite che non esiste la proiezione del vostro ego riguardo al corpo. Perciò sperimentate che qualcosa sparisce completamente. A volte può avvenire senza paura, senza felicità, senza una forte eccitazione. A volte si prova agitazione. Qualcosa di concreto è lì, simile a una roccia e poi improvvisamente non c’è più, e provate una gran paura. A un certo punto non sapete più cosa sia successo. A volte, invece, può essere semplicemente un’esperienza di grande beatitudine, sapete, completamente piena di beatitudine. Ci si toglie come un peso dalle spalle, e provate una beatitudine così grande che vi viene da piangere dalla gioia, e in quel momento si diventa quasi del tutto incoscienti. Sapete cosa voglio dire? Penso che questa esperienza avvenga perché ci si toglie di mezzo quel peso tremendo. La natura di sunyata è cosÏ, non concettuale, non idealistica, non dualistica.
Grazie alla consapevolezza, alla semplice consapevolezza, l’idea di concretezza diventa completamente inesistente, non esiste il “me” che sperimenta il ‘fuori di me’, non c’è assolutamente nessuna conoscenza dualistica in questa esperienza, in questo momento di saggezza.
La vostra mente lasciatela fluire. Mantenetela in uno stato di chiarezza e trasparenza, mantenetela in quello stato non concettuale, non dualistico, non duale per natura. Mantenetela semplicemente in quello stato. Non date spazio ai pensieri su questo e su quello, o a colori, forme e nomi. Semplicemente osservate.
Vi è inoltre una differenza tra meditare semplicemente sullo spazio vuoto e l’eliminare il concetto di proiezione egoistica. In realtà è qualcosa di completamente diverso. Non si tratta semplicemente di sentirsi inebriati da questa sensazione di spazio: il punto chiave, il vero cambiamento è sunyata, non è il sentirsi come ubriachi. Riuscite a capire in modo chiaro? Quando si è in ospedale ci fanno un iniezione che ci annebbia totalmente. Ciò non ha niente a che fare con sunyata, perché si continua ad avere il pesante fardello di un io concreto. Invece quando si percepisce questo intervallo dovuto a Sunyata, quando si sperimenta questa corretta percezione di sunyata, allora è molto facile diventare la divina Madre Tara. La compassione, l’aspetto più tenero dell’essere, sia umano che divino, che era il cuore del Buddismo, si rivelò al meglio nella struttura femminile. La tenerezza e la grazia prettamente femminili con cui le successive immagini buddiste furono concepite, definiscono l’epitome dell’iconografia e dell’arte buddista. Dopo benevolenza e protezione, altre virtù che rappresentavano meglio la femminilità furono aggiunte a quella cardinale della compassione, ecco perché Madre Tara (Madre di tutti i Buddha).

Meditazione sulla Vacuità dell’Io

La meditazione è uno strumento per indagare e superare i nostri pensieri ordinari che sono legati e limitati al nostro concetto di “Io” e permette alla nostra Coscienza di diventare consapevole individuando gli elementi che possono portare la mente a compiere le azioni negative che sono il frutto delle nostre illusioni.
Tutti gli strumenti hanno come effetto l’eliminazione delle cosiddette negatività mettendo sotto il microscopio il nostro Io ordinario. Dopo aver “visto” i difetti dei nostri limiti umani, si giunge alla percezione mentale che è la “chiara visione della realtà”. Visione diretta che viene impedita dal nostro Io ordinario ed egoistico che è proprio, esso stesso, la spugna assorbente delle negatività. Per mezzo del microscopio fornito dalla meditazione, la Coscienza non è che vedrà qualcosa di ben definito, infatti non c’è un Io ben definito, strutturato, sostanziale che possa essere richiamato a volontà per venir messo sotto la lente di ingrandimento.
Nel Buddismo, il termine Vacuità sta a indicare la mente vuota, libera da concetti e pregiudizi dettati dall’ego, ma anche la originaria Natura di tutte le cose.
Per poter illustrare concettualmente la Vacuità del Buddismo, se mai fosse possibile, potremmo riferirci alla mente di un essere vivente che abbia pienamente compreso se stessa, e si sia “svuotata” di tutti i precedenti contenuti, una Super-coscienza fortemente consapevole che si renda conto di “possedere un corpo”, temporaneo, impermanente e soggetto alla “Legge del Karma”. Una Mente luminosa e collegata a tutto l’esistente che non dipende più dai pensieri, progetti e disegni, della persona che si è generata da essa, (oltretutto illusoria, in quanto vittima della sua precedente ignoranza e che era obbligata a sottostare alla ferrea Legge dell’Impermanenza). Una Mente che, cogliendo la sua vera essenza naturale, si chieda: “Com’è l’Essenza naturale della mente prima che produca i prodotti del pensiero?” Ecco, quella sarebbe l’autentica Vacuità in cui si dovrebbe gettare lo sguardo. Quello sarebbe il cogliere la Vacuità.
È ovvio che noi si debba fare uno sforzo quasi sovrumano per cogliere questa vera Vacuità utilizzando la nostra consueta mente umana. Ecco perché lo strumento della meditazione ci viene in aiuto. In un perfetto stato di silenzio mentale, ottenuto con la pratica meditativa non si generano concetti e idee personali, non si presenta la violenta sensazione dell’Io. Si coglie la realtà così com’è nel suo stato originario attraverso la meditazione analitica e la si ‘fissa’ con la meditazione stabilizzante.

Fattane esperienza, questa diventa trascinante, in quanto la persona pur rientrando successivamente nello stato ordinario, rimane consapevole di questa sperimentazione, quindi non potrà più ricadere nell’ignoranza del “com’era prima!”.
Pur constatando che, in realtà, nulla è cambiato nel suo insieme rispetto a prima, ci si scopre “uomini nuovi”. Anche se nella persona alita sempre lo stesso respiro e nella mente continuano ad avvenire identiche possibilità di esperienza, il fatto di aver potuto superare questi “limiti” non stravolge l’entità primordiale in cui ora ci si ritrova e ci si riconosce. Ciò che veramente e finalmente cambia è la nostra dipendenza dall’energia primordiale che, ora, viene legittimata come “Mente” e non più come “Io”. È come se l’Io, pur restando tale a livello relativo nell’utilizzo delle funzioni umane, deponga lo scettro del potere con cui, prima, usurpava l’energia della Coscienza, in quanto ora la mente se ne è riappropriata. In pratica, con la meditazione sulla Vacuità, il nostro Maestro interiore fuoriesce e riconosce la sua stessa persona umana come un autentico Buddha.
Allo stesso tempo non verranno più escogitati artifici o espedienti egoistici nella discriminazione tra bene e male. Quando la Coscienza Superiore prende coscienza di sé, non può più sottostare volontariamente all’inganno dell’ego e, perciò, non si formeranno più i cosiddetti “karma negativi”. Le azioni negative, che in definitiva sono solo azioni volontarie dell’Io, dell’Ego ignorante, cessano di essere messe in atto, perché la mente che è consapevole di sé corrisponde alla liberazione dell’Io dalla sua stessa negatività.
E allora una persona che, con questi strumenti, realizza la reale natura dei fenomeni e dell’Io, ottiene una liberazione in quanto ha modificato, ha cambiato il proprio Io da negativo a positivo in un battibaleno. Questa è la Via verso la Liberazione. Non porta all’eliminazione dell’Io empirico ma ci pone al riparo dagli effetti karmici dell’Io strutturale, perché la mente comprende la Vacuità dell’Io, e l’Io stesso finalmente comprende la sua propria Vacuità. E, per questo, ne sarà liberato, non ne sarà assolutamente oppresso. Non avrà affatto idea di aver sostenuto una lotta, né di aver subito un danneggiamento. A questo livello, l’Io sarà felice.
Lo stesso Buddha comprese appieno il tremendo pericolo dell’Io che imprigiona le menti degli esseri umani. Egli comprese che la causa dei dolori e delle sofferenze dell’umanità derivava dall’attaccamento all’Io : “Io sono migliore di te, più alto, più bello, più ricco, più intelligente…”. Non è l’Io empirico, come abbiamo detto, il vero pericolo per la mente. Sono questi pensieri attribuiti alla propria idea di Io e relativo attaccamento che, esprimendo un potere di un Io realmente esistente, producono effetti karmici negativi e micidiali. Rendiamoci conto che la persona per stabilirsi in termini propositivi, siano essi conflittuali o descrittivi, usa il termine Io solamente per presentare se stessa di fronte ad altre presunte individualità che, allo stesso modo, la fronteggiano con il loro relativo “Io” opposto ed antagonista. Perciò, essa richiama da uno spazio mentale non ben precisato questa entità, questa imputazione psicologica, l’Io appunto, mettendola in campo contro altre presupposte entità. Questo è il dramma della ignoranza metafisica (AVIDYA’) che genera la separazione, la divisione, la disarmonia e la “non-unità”.
Ma quanto è conosciuto e sentito veramente, questo dramma? Nella vita di tutti i giorni, quasi mai. È sentito solo in rare occasioni, quando si manifesta la terribile violenza dell’attaccamento all’Io che porta conseguenze irreparabili a se stessi ed agli altri. L’Io pericoloso, cui il Buddha richiama tutta la nostra attenzione, è QUESTO. Non l’Io empirico e formale, occasionale, che dichiara –io ho fame, io ho sete, io sto bene, io sto male, ecc.- quest’ultimo è un Io imputato, strumentale, che ha valore, e serve, soltanto nel mondo della relazione. Questo tipo di Io, che peraltro appare solo in determinate occasioni funzionali, non è pericoloso, non è da eliminare. Perciò, non bisogna pensare alla Vacuità come eliminazione del senso dell’Io.
La Vacuità è la comprensione della relatività dell’Io, della sua temporanea utilità funzionale e, al tempo stesso, l’assimilazione della inesistenza concreta e sostanziale di una “reale” entità che crede di esistere intrinsecamente col nome ”Io”. Riferendoci al consueto esempio della campana, che trattiene dentro di sé l’aria. In questo momento, il metallo che forma la campana potrebbe credere di essere, sostanzialmente, la campana stessa. E, per tutto il tempo che la campana avrà esistenza, sarà indubbiamente così. Ma, se si fonderà la campana, si riotterrà solo del metallo che, quindi, non potrà più fare opera di identificazione con la campana, che non ha più esistenza.
La meditazione sulla Vacuità dell’Io non deve essere la creazione di un qualunque altro concetto da aggiungere ai precedenti già etichettati nella mente. Il mistero della Vacuità sta proprio nel fatto che non c’è niente di nuovo, ma in realtà c’è totalmente un nuovo modo di interpretare l’esistenza. La Vacuità è il modo di far comprendere alla mente il reale modo di esistere dei fenomeni, poiché essa li percepisce tutti come esterni a sé. Infatti, anche ciò che sembra essere percepito come interno, in realtà appare come , e non della mente. Per esempio, la mente può vedere e cogliere le nostre emozioni e ritenerle fenomeni interni, ma in realtà, proprio perché può conoscerli come un “secondo” rispetto a se stessa che ne ha percezione, essi sono fenomeni .
Ora, per evitare che la mente stessa, sballottata qua e là da queste speculazioni, finisca per attaccarsi alla convinzione che tutti i fenomeni siano dunque esterni, creando così ulteriore confusione, chiariamo subito che la Vacuità non potrà dare conferme sul piano concettuale. Infatti, i Testi del Chan dichiarano che TUTTI i fenomeni esistono all’interno della mente. Dunque, questa apparente contraddizione va risolta non con la logica razionale, bensì con la visione introspettiva e con la profonda intuizione trascendente. Ecco perché si afferma la Vacuità dell’Io e di tutti i fenomeni. Questa è la chiave per la realizzazione. Infatti, il karma che si ostina a rimanere incollato all’Io è causato dall’ignoranza di considerarsi sempre quell’Io. Se si riuscisse a liberarci dall’idea di essere quell’Io, immutabile e permanente, immediatamente verremmo liberati dalla schiavitù del karma.

Meditazione al momento del distacco

Pensiamo per esempio che al momento della morte fisica, l’Illuminazione può essere facilitata perché l’attaccamento all’Io può venir estirpato bruscamente dalla consapevolezza dell’immediata esperienza di morte. Al momento del trapasso vi è una veloce constatazione della imminente cessazione di ogni aspettativa e di tutti i desideri, chi comprende che non è più utile, anzi che è addirittura assurdo e dannoso, continuare ad attaccarsi all’Io, comprende, di colpo, la Vacuità dell’Io. La morte stessa ci fa capire che è impossibile che l’Io possa mantenere quel potere, illusorio ed arbitrario, di immortalità ed eternità che cullavamo durante la vita. Quindi, questa comprensione lampante, in quel preciso istante, per i meditanti e per le menti sottili ed intuitive, è un momento di Illuminazione e, perciò, di Liberazione finale.
Ora come ora, dobbiamo evitare di pensare a cosa potrà accaderci in quel preciso momento, perciò cerchiamo ora di essere liberi anche dall’attaccamento ad un Io liberato. Non potremo mai ottenere la Liberazione finale se la poniamo come un traguardo, se ci sforziamo di volerla raggiungere. Mentre, se ce ne liberiamo già adesso, comprendendo l’illusorietà dell’Io pur continuando a fruirne liberamente nella sua relatività ma senza attaccarci, già questa è liberazione, già siamo realmente liberi…

L’Io inconsistente

Il Buddismo nega che l’Io possa esistere come entità a se stante, perché esiste solo in relazione con quello che gli sta attorno. Non esiste un Io autonomo, è sempre in relazione ad un oggetto, a una cosa astratta, a una teoria, a una persona, cioè non esiste se non in relazione a qualcos’altro. L’essere coscienti non è una attività pura ed isolata ma si è sempre coscienti di qualcosa, non si è mai coscienti di per sé in modo assoluto. Possiamo essere coscienti di un idea, di un oggetto, di uno stato d’animo, quindi il nostro Io è sempre in relazione ad un altro contenuto sia concreto che astratto. Questo significa che l’Io in sé è un concetto astratto, non lo possiamo mai trovare concretamente, è un fenomeno costituito da funzioni relazionali.
Noi siamo abituati a credere e vivere come se l’Io fosse una realtà autonoma, noi pensiamo sempre io e qualcos’altro, io in questa stanza, io e gli altri …. ma questo Io assoluto non esiste, e ciò lo dimostra anche il fatto che per un’altra persona noi facciamo parte degli altri perché anche lei pensa di avere un Io concreto. Per il Buddha comprendere che l’Io in sé non esiste è fondamentale, infatti egli afferma che gran parte delle nostre illusioni e dei nostri desideri deriva da questo percepire l’Io in maniera autonoma, come se esistesse indipendentemente da tutto il resto, fisso ed immutabile, come cristallizzato. Al contrario l’Io è una serie di funzioni relazionali non cristallizzate, che sono in continua trasformazione, in una singola parola possiamo dire impermanenti. Credere che ci sia un Io, fisso ed immutabile che si rivolge ad altri oggetti anch’essi dotati di un io cristallizzato alimenta una serie di desideri ed illusioni, perché tutto è sempre in continua trasformazione, immerso nella danza dell’impermanenza, ma noi percepiamo tutto come permanente ed è da qui che origina la grande illusione, è da qui che originano il desiderio e l’attaccamento. La radice fondamentale della sofferenza è proprio la percezione dell’Io in maniera permanente, che possa esistere indipendentemente da qualcos’altro, quindi per eliminare la sofferenza noi dobbiamo sradicare questo concetto, dobbiamo sviluppare il non attaccamento a questa idea dell’Io autonomo.
Quando pensiamo al non attaccamento immediatamente ci viene in mente il distacco dai piaceri, dalle passioni, dal sesso ma non è così, perché altrimenti rischiamo di dare al Buddismo una connotazione ascetica. Il non attaccamento che il Buddha raccomanda è riferito a tutto, sia ai piaceri che ai dolori, ma anche qui bisogna fare attenzione perché si correrebbe il rischio di definire il Buddismo come nichilista, legato all’esaltazione del nulla. Infatti il buddismo non proclama l’esaltazione del nulla perché altrimenti anche questo sarebbe come un attaccamento a questa ideologia. Quando il Buddha dice di non attaccarsi a qualche cosa comprende tutto, l’Io, il nirvana perfino l’insegnamento del Buddha stesso perché il problema non è l’oggetto dell’attaccamento ma bensì l’attaccamento stesso! Non si tratta quindi di respingere o esaltare la realtà come si fa nei monoteismi in cui ti danno una lista di comandamenti dove si afferma che una cosa non va fatta e quindi va respinta ed un’altra è da fare e allora va esaltata. Si tratta invece di osservare la realtà ponendo attenzione al suo manifestarsi, un piacere o un dolore non va né cercato né evitato questo è il corretto atteggiamento del buddista capace di cogliere sia il piacere che il dolore come un fenomeno dalla struttura impermanente, pensare che sia il piacere che il dolore come sono arrivati così passeranno, va sempre sottolineato l’aspetto impermanente della realtà. Questo è il non attaccamento.

Scoprire il nostro vero “io” – 6 domande per raggiungere questo scopo

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Post tradotto e reinterpretato da: tinybuddha.com

Scoprire chi siamo veramente e dare completamente ogni aspetto di questa nostra unicità di essere vivente al mondo è il percorso per vivere una vita straordinaria.

Seguire questo insegnamento come se la vita dipendesse da questo la cambierà in meglio. Non c’è nessun dubbio nell’affermare che questa perla di saggezza consiste in quanto segue:
“Per vivere una vita straordinaria è imperativo conoscere ed esplorare chi siamo veramente”.

Le 6 domande che si trovano qui di seguito permettono di conoscere il nostro vero “io”, e l’analisi delle risposte aiuta l’esplorazione, così si potrà scoprire lo scopo della nostra vita o anche perché o per che cosa siamo nati in questo meraviglioso mondo.

Non sto parlando dell’io che gli altri ci chiedono di essere o dell’io che agisce in modo da essere conforme a quello che la società comunemente accetta. Sto parlando del vero “io”, quello autentico che merita di esprimere le nostre speciali ed uniche qualità al mondo.

Rispondere a queste domande ci farà scoprire (nelle risposte che darai) le nostre principali passioni, punti di forza, valori, desideri e motivazioni che sono tutti parte della nostra unicità di essere vivente. Seguire le risposte e cercando di impostare in questo modo la nostra vita ci permetterà di allinearci al vero “io” e renderla straordinaria.

La conoscenza di se stessi è la più grande conoscenza che possiamo acquisire, perchè la nostra abilità nell’attenerci completamente al viaggio interiore determinerà la nostra abilità di adempiere al potenziale che si tradurrà anche nel determinare la qualità della nostra vita.

Le domande che seguono sono pensate per aiutare a conoscere se stessi in profondità e scoprire che cosa è veramente importante per noi. Tutti noi abbiamo un potenziale inespresso e l’esercizio aiuta a scoprire qual’è il proprio.

1-Che cosa amo fare nella mia vita?
Fai un’elenco di quello che ami del mondo e delle persone nella tua vita. Pensa ad ogni attività che ti eccita o ti rende entusiasta e rende la tua vita più viva. Può essere di tutto: musica, sport, cucinare, insegnare, imparare, guardare film, ecc… insieme al tuo amore per queste cose risiedono le tue profonde passioni.

2-Quali sono i più grandi successi della mia vita fino ad ora?
Elenca i momenti più orgogliosi così come quelle volte che hai avuto successo. Per arrivare a questi momenti avrai sicuramente dovuto usare alcuni dei tuoi punti di forza. Scopri se riesci a sapere perché in quei momenti ce l’hai fatta. Inoltre elenca ogni attività, hobbies o qualsiasi altra cosa che hai completato co estrema facilità. Insieme a queste risiedono i tuoi punti di forza.

3-Che cosa farei se sapessi di non essere in seguito essere sottoposto a un giudizio da parte di qualcun’altro?
Elenca tutto quello che vorresti fare se non avessi questa paura, perfino i tuoi più selvaggi desideri. Questo ti aiuterà a scoprire quali sono i tuoi più grandi valori.

4-Se nella mia vita non avessi limiti e potessi avere tutto ciò che voglio o che vorrei, cosa sceglierei di avere e cosa sceglierei di fare?
Descrivi il tuo lifestyle ideale. Elenca cosa faresti durante la giornata se sapessi a priori che tutto quello che farai avrà sicuramente successo, che tipo di persona vorresti essere, quanti soldi vorresti guadagnare e dove vorresti vivere.
Questa domanda ti permette di scoprire chi veramente vorresti essere se nella tua vita non avessi nessun impedimento alla realizzazione di ciò che vorresti fare o avere.
Allineandoti alla risposta puoi iniziare a lavorare a ciò che intendi veramente creare/ fare nella tua vita. Sappi che non avresti un desiderio se non avresti anche la capacità di realizzarlo.

5-Cosa vorrei fare se avessi un miliardo di dollari?
Elenca quello che veramente ameresti fare se avessi tutto il denaro del mondo. Ok, potresti girare tutto il mondo, comprare una casa o due, e dare dei soldi alla tua famiglia. Ma che cosa, oltre a queste cose vorresti poi fare nel tempo a disposizione?
Questa domanda aiuta a scoprire i tuoi limiti. L’esercizio di rimuovere i nostri limiti e confini aiuta a scoprire cosa veramente vorremmo fare del nostro tempo.

6-Chi ammiro di più al mondo?
Elenca le le tue più grandi ispirazioni e le qualità che ammiri in queste persone. Pensa a che cosa ti ispira di più nel mondo. Cosa ammiri di più negli altri e quali delle loro qualità ti appartengono. Sappi che tu ammiri qualcuno perché possiede delle qualità che anche tu possiedi.

Prendersi il tempo di rispondere a queste domande cambierà la nostra vita. Più riusciremo a coltivare le nostre passioni, punti di forza, desideri, aspirazioni, valori e motivazioni più la nostra vita sarà giorno dopo giorno migliore.
Puoi studiare per diventare un dottore, un avvocato o un insegnante ma quello che hai studiato servirà solo per questo. Mentre scoprire la conoscenza del profondo io vi assicurerà una vita più significativa e completa.

La conoscenza più preziosa che si potrà mai scoprire è, e sarà sempre, all’interno di te.

Davide