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Come stare nel momento presente anche quando esso è spiacevole – Tich Nhat Hanh

Chiunque conosca la pratica della mindflulness sa che si deve tornare a casa nel momento presente. Quando si torna a casa si possono trovare due situazioni: 

La prima situazione è che ci sono condizioni di felicità nel qui e ora. Quando inspiriamo e portiamo la mente a casa nel nostro corpo ci si stabilisce nel momento presente e notiamo che ci sono tanti elementi rinfrescanti, curativi e condizioni di felicità a portata di mano nel presnte; è chiaro che con questa consapevolezza è molto facile generare un sentimento di gioia e felicità. Questo è ciò che possiamo fare per nutrire noi stessi di gioia e felicità.

La seconda situazione che possiamo incontrare quando inspiriamo e portatiamo la mente a casa nel qui ed ora è una emozione dolorosa che si manifesta di tanto in tanto, e che quando inizia a manifestarsi è spiacevole. Così scappiamo per fare in modo che il dolore non sia lì, perchè se lì non c’è nessuno viene a mancare anche colui che lo patisce. Accade che in questo modo nessuno è nemmeno lì per prendersi cura di quel dolore. In questo secondo caso, il tornare al momento presente non è riconoscere gli elementi di gioia e felicità, ma è avere l’opprtunità di riuscire a prendersi cura del dolore presente in noi stessi e cercare di trasformarlo. Anche se il momento presente è insopportabile, tornare a casa, tornare in noi stessi, è la sola possibilità che abbiamo di fare qualcosa per riuscire a trasformarlo in maniera che esso si calmi e che non sia più così insopportabile.

La maggior parte delle persone non agisce in questo modo perchè teme che giungendo a casa in se stessi e venire a contatto con il dolore ivi presnte sarà sopraffatta dalla soffrenza conseguente al dolore. Questo spiega perchè spesso fuggiamo immaginando qualcosa nel futuro per fantasticare o andando nel passato per dimenticare. Ma il passato e il futuro sono delle immagini, non è la realtà, solo il momento presente è reale. Ecco perchè al Plum village diciamo sempre: “Non lasciamoci catturare dal passato o dal futuro, torniamo al presente”. 

Molte persone cercano di nascondere il dolore dentro se stesse non solo tornando al passato o correndo nel futuro immmaginado che forse almeno lì ci sara una qualche speranza di fine della sofferenza. Ma questo processo mentale allevia forse un pò il dolore ma non lo elimina e inoltre non dura nemmeno a lungo, perchè appena si torna al qui e ora ecco che il dolore è sempre lì. Molte altre persone cercano di nascondere il dolore consumando esperenzie emotive forti (es. sesso), bevendo alcoolici o consumando droghe, ma quando l’effetto (non duraturo) termina ecco ripresentarsi lo stesso dolore da cui sono fuggiti, forse amplificato anche dall’eccesso emotivo e di stordimento. Altri ancora cercano di fuggire lasciandosi andare all’apatia che si prova guardando continuamente la televisione o leggendo riviste di pettegolezzi. Il fattore comune di tutte queste esperienze e che esse sono tutte caratterizzate dall’evitare il confronto con la sofferenza, ed in questo modo accade che il dolore si accresce.

La pratica della consapevolezza ci aiuta a tornare a casa, nel presente, anche se il momento non è piacevole. Ma è proprio in quel momento che possiamo comprendere la sofferenza, e trovare una via per trasformarla, per farla cessare o almeno per calmarla. Così quando accade di nuovo che ci troviamo in un momento presente non piacevole, non pensiamo più che scappare da esso sia la via migliore; al contrario pensiamo che può essere una opportunità. Stiamo nel presente, guardiamo in profondità la natura della nostra sofferenza.

Se sappiamo come praticare il respiro (o il cammino, il mangiare) consapevole siamo in grado di generare l’energia della consapevolezza e questa energia, che deriva dalla pratica ci aiuta ad essere forti abbastanza per riconoscere (com-prendere = prendere con sé) e contrastare il dolore, abbracciandolo con tenerezza (com-passione = prendere con sé il sentimento). E’ proprio questo abbraccio che in pochi minuti ci permette di calmare il dolore. Entrare in contatto con la sofferenza porta alla comprensione della sofferenza stessa, l’energia della comprensione e della compassione ha il potere di curare. Curare noi stessi ma anche le persone che ci stanno vicino in quel momento, perchè quando noi riusciamo a calmare il nostro dolore possiamo aiutare gli altri a fare altrettanto.

C’è un uomo, un Bodhisattva, il cui voto è di andare nei luoghi dove c’è molta sofferenza per avere l’opporunità di servire o di aiutare. Ci sono molti infermieri, dottori ed operatori sociali che già lo fanno prestando servizio nei luoghi più disastrati della terra ( guerre, carestie, pendemie). Quell’uomo (e gli altri menzionati) sono tutti esseri che non temono la sofferenza. Il Bodhisattva sa che venendo a contatto con essa è possibile alleviarla (o farla cesssare). Egli ha una potente e forte fonte di energia che è l’aspirazione al volere fare qualcosa nella tua vita che sia utile, per avere una vita piena di senso. Ecco perchè va nei posti pieni di sofferenza, per aiutare coloro che soffrono. Non ha più paura di andare in situazioni di sofferenza. Anche noi non dobbiamo più avere paura della nostra sofferenza

Se abbiamo compassione non ci preoccupiamo più di essere in una situazione dolorosa e difficile, siamo protetti, non saremo più sovrastati dalla situazione di dolore e dalla sua energia negativa che emette tutto intorno ad essa, perchè la contrastiamo con la nostra energia positiva emessa dalla nostra comprensione e compassione.

Adesso saliamo di livello ed espandiamo la nostra pratica. Torniamo a coloro che si spendono e si sacrificano nelle zone più difficili della terra e cerchiamo di capire che la nostra non deve essere solo una pratica a livello individuale, utile solo per la nostra personale sofferenza. Come comunità di esseri compassionevoli siamo in grado di emettere energia positiva sufficiente anche per aiutare coloro che sono direttamente sul campo a lavorare. Attraverso la nostra pratica li proteggiamo quando sono lontani e anche quando ogni tanto tornano a casa si ricaricano di nuova energia che trovano pronta anche grazie a noi, utilizzandola per avere la forza di ripartire e tornare nuovamente in azione in quei posti dolorosi del mondo per aiutare direttamente gli altri. La pratica deve essere colletiva.

Anche all’interno della nostra ristretta cerchia di familiari ed amici operiamo per aitarci a fare pratica colletiva. Il modo migliore per farlo è quello di diventare sempre più gentili, sorridenti e dolci giorno dopo giorno. Solo così crederanno che la nostra pratica funzionerà anche per loro. Quando la tua famiglie e i tuoi amici, colleghi godono di maggior armonia, fratellanza, la tua aspirazione ad aiutare gli altri, ad essere compasionevole con tutti gli esseri, si realizzerà più facilmente. 

Abbiamo bisogno degli altri (così come gli operatori di pace hanno bisogno di noi) per realizzare la nostra aspirazione, senza gli altri il nostro sogno difficilmente potrà diventare realtà. Dunque non solo noi dobbiamo agire come singola persona, con gli altri è molto meglio.

Quattro fondamenti della consapevolezza – Sr Hoi Nghiem

Prima di condividere con voi questa lezione sui quattro fondamenti della consapevolezza vorrei rivedere con voi alcuni aspetti dell’ottuplice sentiero (per la via della liberazione dalla sofferenza). Il sentiero ha otto strade: retta parola, retto sostentamento, retta azione, retto sforzo, retta concentrazione, retta consapevolezza, retto pensiero, retta visione. Tutti questi elementi sono inter-connessi, ma la consapevolezza è come l’ingresso del sentiero, è la base della meditazione, non possiamo meditare senza di essa.

Nota personale: Quello che è importante sottolineare è che sia gli esercizi che compongono la pratica della consapevolezza, come del resto quelli dell’ottuplice sentiero sono vere e proprie azioni che dobbiamo mettere in pratica. Solo attraverso la pratica, che a volte consiste nella pratica della meditazione su alcuni degli elementi che vedremo, è possibile comprendere a fondo l’importanza dell’insegnamento. Certo, alcuni concetti sono intuibili dal punto di vista intellettivo, ma non basta capirli in questo modo: dobbiamo letteralmente ‘com-prenderli’, farli nostri, fare in modo che facciano parte della nostra pratica quotidiana. Solo così sarà possibile percorrere la via che porta alla liberazione dalla sofferenza e a farci sentire felici. Ecco il motivo per cui sorella Hoi enfatizza il fatto che non possiamo meditare senza la consapevolezza: se non siamo consapevoli del nostro corpo, delle nostre sensazioni, della mente e delle altre persone, come possiamo capirle? Solo una volta che abbiamo compreso possiamo migliorare. E il fatto di essere inter-connessi tra di loro è altrettanto importante: migliorando un aspetto si sviluppa anche l’altro. Allo stesso modo, dal momento che noi non siamo ma ‘inter-siamo’, migliorando noi stessi miglioriamo anche il rapporto con gli altri e oltre a rendere felici noi stessi rendiamo più felici anche gli altri.

La prima caratteristica della consapevolezza è il ricordo. Possiamo ricordare dei concetti, degli insegnamenti, di quello che abbiamo realizzato grazie alla pratica. Ad esempio possiamo ricordare che abbiamo un corpo, che siamo fortunati ad averlo, che possiamo ancora camminare, che abbiamo occhi luminosi per guardarci, un cuore che batte con regolarità, lo stomaco per assimilare cibo. Ok, il nostro corpo funziona bene, ma dobbiamo ricordarci di nutrire la nostra gioia e felicità. Alcune persone non riescono ad accettare il proprio corpo. Quando ero giovane non accettavo il mio corpo, ma quando ho imparato a conoscere la consapevolezza ho avuto la capacità di accettare il mio corpo così come era, anche sono bassa e col naso piatto ho molte altre condizioni che sono presenti e che mi permettono di essere felice, per esempio abbiamo una casa in cui vivere, c’è molta gente che non ce l’ha. Anche se devo condividere la mia stanza con altre persone questo è ok, è un motivo per essere felici. Quando ricordi questo le sofferenze e le difficoltà lentamente si affievoliscono e si calmano. Per fare ancora un esempio potremo ricordare i momenti in cui in passato eravamo in una situazione difficile e magari anche pericolosa ed ora che siamo qui in comunità, con la sua energia collettiva, e ci sentiamo protetti, anche questo è un motivo per essere felici. A volte dimentichiamo di ricordare i motivi per cui ora ci troviamo in condizioni fortunate, così la sofferenza si fa strada in noi e ci fa annegare nelle difficoltà. Oggi tentate di rivedere quello che avete appreso in questi giorni di incontri in modo che possiate ricordare, ricordare e ricordare ancora, nutritevi con questi ricordi. Il solo ricordo porta già molta gioia e permette inoltre di fissare i concetti per essere pronti ad imparare molte altre cose nuove.

Il ricordare il nostro passato e quello che abbiamo appreso attraverso gli insegnamenti e la pratica è quindi una caratteristica della consapevolezza. La seconda è quella di essere consapevoli di ciò che sta accadendo in questo momento. Quindi abbiamo ricordo e momento presente. Di che cosa dobbiamo essere consapevoli? Del nostro corpo, dei nostri sentimenti e della nostra mente, di quello che succede dentro di noi e intorno a noi, questo serve affinché possiamo prenderci cura del nostro corpo, sentimenti e mente. Se non ne siamo consapevoli non potremo nemmeno prendercene cura.

Andiamo avanti prendendo in considerazione il Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza. All’inizio dice: questo sutra è il sentiero più bello per aiutare tutti gli esseri a realizzare la purificazione, superare la sofferenza e il dolore, è la strada per il nirvana. Questo sutra non è solo da leggere, ma (come tutti gli insegnamenti) è fondamentale la sua messa in pratica se si vuole realizzare la purificazione per porre fine al dolore e alla sofferenza.

Sequenza di esercizi che compongono la pratica della consapevolezza del corpo nel corpo.

La pratica si divide in più esercizi. Il primo è osservare il nostro respiro: quando inspiriamo siamo consapevoli che stiamo inspirando e quando espiriamo siamo consapevoli che stiamo espirando. Essere consapevoli del respiro significa seguire il respiro nel sua atto di inspirare ed espirare, significa sentire l’aria passare attraverso il corpo, dalle narici fino agli ultimi piccoli rami dell’albero bronchiale che si trovano nella parte più esterna dei polmoni ed in seguito nel suo percorso a ritroso quando esce. All’inizio seguiamo solo il respirare, poi cerchiamo di calmarlo, ma in genere, se pratichiamo bene, esso si calmerà da solo, diventerà più pacifico e i movimenti risulteranno più fluidi e lenti. Non abbiamo bisogno di forzare il respiro, lasciamo che sia naturale e sentiamo anche il sollevarsi e l’abbassarsi del diaframma che a sua volta ci fa percepire la sensazione che stiamo respirando con lo stomaco che si solleva e si abbassa in accordo con il movimento diaframmatico. Col passare della pratica arriveremo a sentire che il respiro non è solo di pertinenza dei polmoni e delle narici, ma sentiremo l’aria arrivare fino ai pori della nostra pelle dopo essere stato anche nelle ossa, nel midollo, nel sangue, nei muscoli e nei tessuti sottocutanei: l’aria passa effettivamente in ogni cellula del nostro corpo, questo è provato scientificamente, ed è solo con la pratica che noi ne diventiamo consapevoli. Un conto è studiare sui libri che questo avviene, un altro è il sentirlo fisicamente nella realtà. Non respiriamo solo con il naso, ma con tutto il corpo. Con il primo esercizio, respirando consapevolmente iniziamo a rilassare il nostro respiro e il corpo. Il primo esercizio quindi ci rende consapevoli del respiro e ci aiuta a tornare in noi stessi per iniziare a prenderci cura del corpo e della mente.

Ora vediamo il secondo esercizio della pratica della consapevolezza del corpo nel corpo. Nel primo esercizio abbiamo acquisito la consapevolezza del respiro, in questo seconda esercizio, sfruttando la consapevolezza acquisita nel primo fase invece dobbiamo essere consapevoli delle caratteristiche del nostro respiro. Come fare? E’ inevitabile che nel processo di respirazione ci siano dei respiri un pò più brevi e dei respiri un pò più lunghi, quindi quando il respiro è breve dobbiamo vedere che “sono consapevole di respirare un respiro breve” e quando c’è un respiro lungo dobbiamo vedere che “sono consapevole di respirare un respiro lungo”. Quello che è importante però è di non fare di proposito a fare un respiro corto o lungo, per l’esercizio della consapevolezza del respiro serve solo riconoscere se il respiro è breve o lungo mentre questo fluisce senza controllo da parte nostra, nella sua naturalezza. Occorre notare il respiro per quello che è. Quindi con il secondo esercizio calmiamo il respiro e iniziamo ad essere consapevoli oltre che del respiro anche di tutto il corpo.

Il terzo esercizio stabilizza la consapevolezza dell’intero corpo, e consiste nel continuare a osservare il respiro, se è breve, se è lungo, sentirlo fluire in tutte le cellule del corpo, nelle orecchie, nelle gambe, nel fegato, nella testa, ecc. In questo modo stabilizziamo la consapevolezza di tutto il corpo.

Durante il quarto esercizio, continuando allo stesso modo arriviamo a calmare tutto il corpo.

Quando camminiamo, sappiamo che stiamo camminando, quando ci sediamo siamo consapevoli di essere seduti. In qualsiasi posizione il corpo si trovi, siamo consapevoli della sua posizione. Per esempio quando camminiamo possiamo sentire i piedi che toccano la terra che ci sostiene, quando siamo seduti sentiamo quale parte del corpo tocca i tessuti, quando siamo sdraiati possiamo essere consapevoli della posizione della schiena, ecc. Anche quando mangiamo o beviamo siamo consapevoli, sentiamo il gusto del cibo assaporandolo lentamente, sentiamo la freschezza dell’acqua che arriva fino all stomaco. Quando vestiamo un abito siamo consapevoli di stare indossando un indumento e sentiamo le parti di esso dove si appoggiano, se è confortevole, ecc. Quando stai lavorando sii consapevoli dei movimenti delle tue mani per esempio. Portiamo la consapevolezza in ogni aspetto della vita quotidiana, è possibile farlo, ma all’inizio occorre svilupparla attraverso l’esecuzione dei quattro esercizi visti prima. Essere consapevoli del corpo induce calma e fa svanire le tensioni il corpo si rilassa, i muscoli non sono tesi, perfino gli organi interni sono rilassati e funzionano meglio. Ad esempio se siamo consapevoli del nostro viso i suoi muscoli si rilassano, non abbiamo un espressione tesa, ma rilassata, che con la pratica diventa gioiosa. Se qualche parte del nostro corpo sente dolore o è ammalata è possibile accelerarne la guarigione con la consapevolezza. Quando soffriamo è possibile sentire una stretta al cuore, se siamo consapevoli del cuore e ce ne prendiamo cura con la consapevolezza, facciamo in modo che i sui muscoli si rilassino e riusciamo ad allentare quella stretta fastidiosa. Quindi all’inizio siamo consapevoli del respiro, poi del corpo e in che posizione si trova, in seguito del suo movimento e infine perfino dei suoi organi interni.

Possiamo anche combinare la respirazione con il corpo, all’inizio sarà difficile perché se seguiamo l’uno non riusciamo e seguire contemporaneamente anche l’altro. Non dobbiamo preoccuparcene più di tanto però; se presti anche solo attenzione ad una piccola parte dei due insieme è già un piccolo grado di consapevolezza. Quello che è importante che voi sappiate è che con la pratica della respirazione certamente riusciremo a connettere la nostra mente e il nostro corpo. A volte siamo in un posto fisicamente ma la nostra mente è altrove. Con la pratica della consapevolezza sul respiro questo diventa come un ponte che collega la mente e il corpo e permette alla mente di tornare al corpo. Quindi ovunque vada la mente, ricordiamo solo la respirazione consapevole, dopo che ti eserciti per un pò sei consapevole di quello che stai facendo (perché la mente ritorna insieme al corpo), di ciò che stai dicendo e di ciò che stai pensando e lentamente, attraverso la pratica, puoi arrivare certamente a combinare la respirazione con il corpo e con l’azione. Puoi parlare, puoi ascoltare, ed anche lavorare, fare qualcosa d’altro mentre allo stesso tempo segui il respiro. Se non riesci a farlo all’inizio va bene, nessun problema, ma quando con la pratica acquisisci la capacità di combinare, puoi padroneggiare meglio la tua anima. Ecco perché già dal secondo esercizio riusciamo a calmare il respiro, con il quarto a calmarlo e rilassarlo, mentre con il primo e con il terzo rendiamo stabile la consapevolezza del respiro e del corpo. Quando siamo consapevoli di tutto il corpo lo rendiamo felice.

Schematizzando, questi sono gli della consapevolezza del corpo nel corpo.

  1. Inspirando siamo consapevoli del respiro, espirando siamo consapevoli del respiro (seguire solamente il respiro)
  2. Inspirando calmiamo il nostro respiro, espirando calmiamo il nostro respiro (notare la qualità del respiro – breve lungo)
  3. Inspirando siamo consapevoli del nostro corpo, espirando siamo consapevoli del nostro corpo (sentire in tutto il corpo il respiro che viene e che va)
  4. Inspirando calmiamo il nostro corpo, espirando calmiamo il nostro corpo (sentire in tutto il corpo il respiro che viene e che va)

Sequenza di esercizi che compongono la pratica della consapevolezza delle sensazioni nelle sensazioni.

Nella presentazione di questa pratica viene sovvertito l’ordine con cui sono illustrati gli esercizi; si inizia dal terzo e quarto e poi analizziamo il primo e il secondo che meritano una spiegazione più ampia. Quando abbiamo una sensazione spiacevole siamo consapevoli di una sensazione spiacevole, quando ne abbiamo una neutra siamo consapevoli della sensazione neutra e quando abbiamo una sensazione piacevoli siamo consapevoli anche di quest’ultima. Siamo consapevoli di ciò che c’è nelle nostre sensazioni. Questa pratica è utile perché quando siamo consapevoli della nostra sensazione riusciamo a calmarla, riusciamo a calmare il nostro sentimento. La tecnica è la stessa che abbiamo visto per i quattro esercizi per il respiro e per il corpo nella prima pratica. Il terzo esercizio è acquisire la consapevolezza di una sensazione (di sofferenza/piacevolezza/neutralità). Ad esempio quando soffriamo: “inspirando sono consapevole di provare della sofferenza, espirando sono consapevole di provare della sofferenza” siamo consapevoli di soffrire.

Quando siamo consapevoli della nostra sofferenza ora sappiamo come prendercene cura perciò non dobbiamo avere paura delle difficoltà e della sofferenza che da esse derivano perché adesso abbiamo un metodo per trasformarla, per calmarla. Il quarto esercizio è quello di acquisire consapevolezza del sentimento che genera quella sofferenza: “inspirando sono consapevole di provare questo sentimento, espirando sono consapevole di provare questo sentimento”. Lo stesso vale per le sensazioni neutre e piacevoli: cerchiamo di essere consapevoli anche di queste! Dobbiamo essere consapevoli di tutte le sensazioni e sentimenti per poterli abbracciare con la respirazione consapevole ed in seguito calmarli, così come abbiamo fatto col respiro e col corpo. Quindi per dirlo in una frase sola: essere consapevoli della nostra sensazione e dei sentimenti ad essa correlati, sia che siano piacevoli, spiacevoli o neutri.

A volte alcune persone soffrono così tanto per alcuni sentimenti che provano che quando tornano per abbracciarli ne vengono sopraffatte, quindi prima di abbracciare la sensazione così spiacevole occorrerebbe generare gioia e felicità: è questo il motivo per il quale il primo esercizio prevede di essere incoraggiati a generare gioia, quindi diciamo: “provando gioia inspiro, provando gioia espiro”. Il secondo esercizio incoraggia l’essere felici: “inspiro e mi sento felice, espiro e mi sento felice”.

Quando hai una malattia o un fastidio al tuo corpo e sei andato dal dottore o in ospedale dove ti hanno detto che ti devi operare, ciò potrebbe non avvenire subito a causa dello stato di debolezza del tuo corpo, quindi quello che cercheranno di fare nell’immediato è aiutarti a trovare il modo di prenderti cura del tuo corpo, magari anche attraverso la somministrazione di farmaci e una corretta nutrizione, che ti permetteranno di rafforzarti per permetterti di affrontare in seguito l’intervento chirurgico. Questo processo è un analogia che spiega il motivo per cui, occorre provare gioia e felicità nel terzo e quarto esercizio della pratica delle sensazioni nelle sensazioni; servono a rafforzarci per potere abbracciare meglio le nostre sofferenze e difficoltà. In caso contrario, in presenza di sensazioni di forte sofferenza ne verremo sopraffatti.

A volte le persone domandano come è possibile creare gioia e felicità, oppure chiedono perché soffrono tanto. Dicono che se soffrono non sono nelle condizioni oppure addirittura non desiderano creare gioia e felicità. A volte è vero, quando si soffre si ha la tendenza a non volere fare nulla, ci crogioliamo nella nostra sofferenza. Ma ricordiamoci dell’esempio di prima: anche quando siamo malati a volte non vogliamo prendere le medicine a meno di arrivare sul punto in cui siamo proprio gravemente malati. Solo quando arriviamo a questo punto siamo consapevoli che dobbiamo prenderle queste medicine. Ma perché arrivare a questo punto? prendiamole subito! Quindi anche quando siamo in uno stato sofferente non dobbiamo aspettare per generare gioia e felicità, perché questi sono i farmaci per la sofferenza! Non vogliamo ma dobbiamo.

Dobbiamo anche ricordare. Abbiamo detto all’inizio che la consapevolezza è ricordare, e dobbiamo ricordare che la gioia e la felicità sono delle medicine che dobbiamo prendere. Fanno bene sia al nostro corpo che alle nostre sensazioni che lentamente, agendo in questo modo, questi diventeranno sempre migliori. Ricordiamo che gioia e felicità ti nutrono ogni giorno, devi nutrirti, non aspettare di essere disperato nella sofferenza e nelle difficoltà. Nella tua vita quotidiana, fai ciò che ti rende felice e gioioso, e farlo spesso creerà una buona energia all’abitudine a farlo. Ad esempio se sistemare il giardino o fare una passeggiata ti rende felice, anche se magari in quel momento non ne avresti voglia, fallo lo stesso! Mentre lo fai la non voglia iniziale scompare e tu starai meglio. Anche quando vai a tavola, a volte sai già quello che c’è e magari pensi che oggi quel cibo non lo desideri tanto, vorresti dell’altro. Ma se penso che alla fine mangiare (qualsiasi cosa ci sia) mi aiuta a rigenerare le forze (e la mente) allora mi godo le pietanze, e mentre mangio sto già meglio.

Si tratta sempre di ricordare (essere consapevoli) di ciò che ci fa bene. Quando sono consapevole di qualcosa che mi farà bene fare, avrò voglia di farlo e lentamente anche l’abitudine all’idea di fare ciò che ci fa bene sarà più naturale, senza sforzo e contemporaneamente la non voglia si affievolirà. Questa abitudine è molto utile perché permette di irrobustirci per essere pronti ad affrontare una forte sofferenza quando arriverà.

La consapevolezza porta felicità, ecco perché dobbiamo essere consapevoli della nostra sofferenza, dobbiamo prima riconoscerla e comprenderla, altrimenti non riusciamo a superarla e lasciarla andare. Se la ignoriamo, come potremo capirla? Dobbiamo andare dentro il corpo, sentire dove fa male, abbracciarla, calmarla. Quando siamo in preda di una emozione forte è come se fossimo degli alberi scossi da una tempesta. La cima dell’albero ondeggia e sui rami sono spazzati dal forte vento, tremano. Noi possiamo pensare che cadrà, ma quando poi guardiamo il tronco che è ben stabile nel terreno grazie alle sue forti radici realizzeremo che è molto stabile e quindi non cadrà. La paura che possa cadere se ne va. Allo stesso modo in preda ad una forte emozione all’inizio ne siamo terrorizzati (siamo come i rami della cima), ma sappiamo che se torniamo al respiro consapevole (il nostro tronco), e la paura passa. Iniziamo con l’essere consapevoli del respiro e del corpo, in seguito calmiamo respiro e corpo, proseguiamo con il generare gioia e felicità allo scopo di irrobustirci prima di diventare consapevoli della natura dell’emozione e del sentimento per non esserne sopraffatti ed infine curariamoli con il il nostro abbraccio calmandoli nel contempo.

Oltre ad non ignorare le nostre sofferenze è sbagliato anche fuggire via da esse. Noi fuggiamo perché abbiamo paura ed in preda al panico alla fine finiamo per soffrire ancora di più. E non solo: la prossima volta che succedere ancora la stessa cosa ricadremo ancora nella stessa situazione.

Ecco perché essere consapevoli è l’unica strada per evitare la sofferenza. E il metodo per esercitare la consapevolezza è quello che abbiamo descritto fino a questo momento. E non aspettare ad essere felice solo quando hai superato una difficoltà perché anche il solo fatto di sapere che c’è un metodo per padroneggiare il momento negativo deve già renderti felice. Ricorda: quando sei in difficoltà inizia a respirare e ti senti già meglio nel corpo, e quando ti senti meglio inizi ad essere gioioso. E ti senti felice perché sai già che non stai annegando nel mare delle difficoltà.

Sequenza di esercizi che compongono la pratica della consapevolezza della mente nella mente

Con lo stesso tipo di metodo sappiamo come padroneggiare la nostra mente, infatti la terza pratica prevede la contemplazione, l’osservare la mente nella mente. Essere consapevoli dello stato della nostra mente, ad esempio se siamo felici siamo consapevoli di essere felici, se siamo consapevoli siamo consapevoli di essere consapevoli, se non siamo consapevoli siamo consapevoli di non essere consapevoli, se siamo gelosi, siamo consapevoli di essere gelosi. Lo scopo di questa pratica è quello di non nasconderci al nostro stato mentale perché occorre vedere chiaramente per potere trasformare tutti questi elementi. Non c’è niente per cui (vergognarsi o essere orgogliosi), se soffriamo diciamo che stiamo soffrendo, se non siamo attenti diciamo che non siamo attenti. Non pretendiamo di essere attenti o fingiamo di essere consapevoli se non lo siamo: se siamo consapevoli di essere in errore ammettiamolo. La consapevolezza prevede quindi di ammettere onestamente lo stato in cui si trova la nostra mente senza ignorarla, senza vergogna, finzione, paura o pretesa, senza nasconderla o coprirla; solo così essendo consapevoli riusciremo a comprenderla e guadagnare l’opportunità di trasformarla. Dobbiamo guardare in profondità per vedere e capire come siamo, in maniera da trasformare la nostra mente (e il nostro stato) attraverso lo sviluppo delle buone qualità che abbiamo dentro di noi (vedi post precedente a proposito della coscienza deposito).

Quando qualcuno ci loda non dobbiamo focalizzare la nostra mente per verificare se quello che ci dicono corrisponde al vero e sentircene orgogliosi, ma dobbiamo semplicemente prendere il complimento come uno spunto per fare di meglio, perché noi possiamo sempre essere essere meglio di quello che siamo in questo momento. Allo stesso modo quando riceviamo delle critiche non dobbiamo abbatterci o deprimerci, non perdiamo tempo a verificare la veridicità delle accuse e sopratutto non sviluppiamo risentimento contro queste persone che sono abituate a guardare gli altri dall’alto in basso, altrimenti diventiamo peggiori di quello che siamo in questo momento. Se le altre persone osservando una rosa dicono che è una margherita essa è pur sempre una rosa, non diventa una margherita. Lo stesso vale per noi, se qualcuno ti loda o ti critica tu sei ancora quello che sei, e per saperlo devi essere consapevole, riconoscere quello che sta succedendo nella mente. Quindi quando qualcuno ti loda non sentirti orgoglioso ma unisci le mani e ringrazia per l’incoraggiamento che ti hanno offerto e continua ad essere così, anzi cerca di fare meglio perché tu puoi sempre essere meglio di ciò che sei. Quando qualcuno ti critica non abbatterti ma trasforma quella qualità che è oggetto di critica e ricorda che non devi capire se ti appartiene o perdere tempo a capire se hanno ragione oppure no, prendi solo quella qualità e trasformala.

Qualunque sia il tuo stato d’animo sii consapevole di questo equando ne sei consapevole puoi abbracciare la tua mente allo stesso modo con cui hai abbracciato il tuo corpo e i tuoi sentimenti. Abbiamo detto quindi che la terza pratica è la contemplazione della mente nella mente. Il primo esercizio è acquisire consapevolezza della mente, il secondo è quello di calmarla (o anche rilassarla, renderla felice). A volte abbiamo una sensazione neutra, non ci sentiamo felici e nemmeno tristi, ma dobbiamo essere consapevoli anche di questo stato. In alcuni momento siamo compassionevoli e cercare di andare in aiuto alle persone se comprendiamo che stanno soffrendo, altre volte siamo così altruisti che possiamo perdonarle per averci fatto sentire tristi, ecco come è possibile rendere felice la nostra mente.

Dobbiamo cercare di non rattristarci quando ci capita di soffrire a causa delle nostre cattive energie (che sono presenti nella nostra coscienza deposito e che ogni tanto si manifestano) e non dobbiamo nemmeno essere troppo orgogliosi delle nostre buone qualità (quando anch’esse si manifestano e vengono riconosciute). Abbiamo molte buone qualità ma a volte non le pratichiamo bene proprio a causa dell’orgoglio e della vana gloria. Non c’è niente da essere orgogliosi, anche perché sappiamo bene di avere delle cattive qualità che equilibrano quelle buone. Lo stesso discorso vale rovesciato: quando manifestiamo cattive qualità ricordiamo che ne abbiamo anche di buone.

Abbiamo delle tendenze che operano in maniera quasi automatica a seguito della nostra abitudine a comportarci in un dato modo che rendono manifeste le cattive qualità. E’ questo che dobbiamo cercare di trasformare attraverso la comprensione dello stato della nostra mente. Facendo questo riusciremo a capire anche le altre persone, cosa c’è nella loro mente. Quando vediamo all’opera le nostre tendenze abituali le abbracciamo, ci prendiamo cura di loro e le trasformiamo. Saremo così in grado di vedere anche le abitudini delle altre persone e così possiamo riuscire con più facilità a perdonarle. All’inizio della pratica vediamo con più facilità gli errori delle altre persone rispetto ai nostri. Tendiamo a pensare che gli altri abbiano torto e noi abbiamo ragione. Con la pratica del tornare a noi stessi, osservandoci più in profondità, ci vedremo più chiaramente e più vedendoci con chiarezza più vediamo i nostri errori. Ad esempio se in una discussione vediamo che il nostro interlocutore è arrabbiato, con più facilità vediamo che forse siamo proprio noi che abbiamo detto qualcosa che lo ha irritato, cosa che senza la pratica non saremmo riusciti a vedere, anzi avremmo solo notato la sua irritazione a cui ha fatto seguito un insulto che ci ha fatto tanto soffrire. Ma più pratichiamo più chiaramente vediamo. E più notiamo i nostri errori più lasciamo andare, sempre tornando all’esempio lasciare andare vuol dire perdonare l’insulto, non sentirci tristi e offesi e ricominciare da capo il rapporto con l’altro che sarà più ricco di buone buone qualità. Ecco come, l’essere consapevoli della nostra mente, agisce a livello concreto sulle nostre vite permettendoci di trasformare le cattive qualità e a cambiare in meglio la nostra situazione.

Migliorando la situazione migliora anche la nostra anima e saremo più sereni e felici. Saremo anche calmi e questo ci permette di focalizzarci sul nostro corpo, sulle nostre sensazioni, sui nostri sentimenti e sopratutto sulla nostra mente, perché quello che accade intorno a noi non è così importante come essere consapevoli di quello che invece è presente dentro di noi, nella nostra mente: perciò facciamo attenzione continuamente alla mente. Da qui infatti il terzo esercizio è quello di concentrare la nostra mente. Inspirare concentrandosi sulla nostra mente, espirare sapendo che niente di ciò che c’è intorno è importante come la nostra mente. Se fuori piove o c’è il sole non importa: torniamo prima a curare la nostra mente. Quando la nostra mente è calma e concentrata, non accadrà più di sentirci in balia delle nostre ansie perché ora sappiamo come fare per trasformare la nostra situazione.

Il quarto esercizio della pratica è liberare la mente. Cosa sta cercando di renderci infelici? Da cosa siamo occupati? Forse dal pensiero o dall’idea di quello che gli altri ci hanno detto, di quello che dobbiamo fare nelle prossime ore, di una malattia, del lavoro, della famiglia o della relazione di coppia? Ovvero, di tutte queste preoccupazioni, quale sta cercando ci renderci infelici? Se sei consapevole di ciò che ti rende infelice avrai la capacità di liberati da esso, di lasciarlo andare. E se stai pensando riporta la mente al corpo, segui il respiro, segui le tue sensazioni e lo stato d’animo, comprendi la tua mente e piano piano, lentamente ti sentirai più tranquillo e in questa serenità sarai consapevole che stai liberando la tua mente.

Ad esempio, quando sei arrabbiato con qualcuno torna a prenderti cura del respiro, del corpo, concentrati più su di essi e distogli l’attenzione dalla persona che ti ha fatto arrabbiare, perché più gli dai importanza, più ti arrabbi. Così ti calmerai e sentirai di potere liberare la mente dalla rabbia, e con questa consapevolezza di potere liberare la mente ti sentirai anche più felice. In questo tuo nuovo stato allora avrai anche la forza di tornare alla persona che ti ha causato la rabbia e capire perché lo ha fatto, comprenderla e arrivare a perdonarla. Quando ci sediamo in meditazione non siamo occupati da nient’altro, possiamo respirare e prenderci cura di noi stessi, ci calmiamo e siamo più felici. Dopo non occorrerà più stare qui seduti, potremo tornare alle nostre attività con più serenità.

Negli esempi che abbiamo fatto fino qui abbiamo solo menzionato alcune delle 51 formazioni mentali (o stati d’animo), ma è possibile liberarsi da ciascuna di queste osservandole, contemplandole, calmandole e sentendoci felici. Essere liberi dagli stati d’animo spiacevoli è è senza dubbio qualcosa a cui tutti noi aspiriamo e che vorremmo che anche gli altri sperimentino. Ma esistono tra quelle 51 anche formazioni mentali che di per sé non sono negative, per esempio l’amore. Anche l’amore può essere fonte di sofferenza, per se stessi e per la persona che amiamo, da qui il motivo per cui quando si ama una persona bisogna fare che essa sia libera, bisogna lasciare quella persona libera. A volte accade invece che a causa del nostro forte amore induciamo in noi un attaccamento a volte ossessivo verso quella persona finendo per non lasciarla libera. Facendo così non la rendiamo infelice, anche se per assurdo la amiamo tantissimo. Capite l’importanza di liberare la nostra mente (in questo caso dall’attaccamento alla persona o dal troppo amore)? Così saremo più felici noi e anche le altre persone.

Sequenza di esercizi che compongono la pratica della consapevolezza dell’oggetto mentale nell’oggetto mentale.

Con questa pratica possiamo arrivare a contemplare l’inter-essere (vedi post sull’inter-essere) , il non SE (vedi post sul non SE), la consapevolezza, la compassione, l’impermanenza e molto altro. Ora vorrei soffermarmi sul primo esercizio: contemplare l’ impermanenza. Tutto cambia, niente rimane. Un fiore per esempio adesso è fresco, profumato, ma tra qualche giorno sarà appassito e non odorerà più di buono. Un altro esempio è questo: ci hanno detto che stasera faremo una cena seduti e ci sarà un discorso del nostro Maestro, ma all’improvviso però ci hanno avvisato che ceneremo nelle nostre camere e il Maestro non terrà il suo discorso: ci arrabbiamo, eppure dobbiamo sempre tenere a mente che esiste l’impermanenza. Se siamo consapevoli dell’impermanenza non saremo contrariati dai cambiamenti, dobbiamo trasformare il nostro essere per affrontare con serenità la quotidianità della nostra vita tenendo presente che tutto non può sempre andare come avevamo previsto e che tutto ad un tratto le condizioni di ciò che c’è intorno a noi possono cambiare. Non dobbiamo affogare davanti ad una improvvisa difficoltà: se notiamo l’impermanenza e ne siamo consapevoli possiamo superare serenamente ogni variabile, anche in negativo. Come abbiamo detto prima potremo avere giudicato male una persona, poi ci siamo seduti, siamo tornati al respiro, al corpo e alla mente, le abbiamo calmati, siamo più sereni, torniamo alla persona, la comprendiamo, la perdoniamo e adesso gli vogliamo bene: anche questo fa parte dell’impermanenza. Tutto può succedere, ad esempio siamo arrabbiati con i colleghi per via del lavoro, poi ci succede qualcosa di bello, diventiamo più felici e torniamo a lavorare sereni anche con i colleghi. Tutto questo senza nemmeno esserci seduti a contemplare; è avvenuto naturalmente, grazie all’impermanenza. In una situazione difficile, se siamo consapevoli che tutto cambia, che uno stato di sofferenza non rimarrà per sempre, riusciremo a superare il momento con più serenità. Dobbiamo fare esperienza con il cambiamento, dobbiamo sperimentare l’impermanenza anche delle altre persone, così riusciremo meglio a comprenderle e lasciare andare certi nostri stati di sofferenza che possono insorgere a causa loro. Ad esempio potremo arrovellarci il cervello perchè non riusciamo a capire come mai una persona al mattino ci ha sorriso e al pomeriggio, senza motivo non ci guarda nemmeno. Lasciamo stare, non preoccupiamoci degli altri, anche in loro esiste l’impermanenza; grazie ad essa ogni volta che abbiamo un pensiero negativo, possiamo svilupparne subito uno positivo. E lo stesso possono fare gli altri, magari adesso sono negativi con noi ma poi cambiano idea e ci trattano con amore: cambiano idea. Adesso la loro idea è un altra, perchè dobbiamo sempre guardare il passato, il cambiamento è già avvenuto, non è più la persona di prima con il suo atteggiamento ostile, ora è una persona amorevole, e possiamo perdonarla perché anche noi non siamo più come prima, l’impermanenza ha già avuto luogo, sta avvenendo e avverrà ancora. Tutto è in continuo mutamento.

Se ci rifugiamo in qualcosa credendo che sia permanente, che possa sempre rimanere uguale, finiremo per soffrire. Solo contemplando l’impermanenza con il primo esercizio potremo evitare che questo accada. Non dobbiamo rifugiarci nelle altre persone, che sono impermanenti, piuttosto rifugiamoci in qualcosa di più solido (anche se è pur sempre impermanente) come ad esempio la madre terra che è sempre qui per sostenerci e ospitarci.

Un giorno il maestro mi ha chiesto se la mente è permanente o impermanente. Io ho subito risposto che è impermanente e lui mi ha detto di fare pratica in modo tale da mantenere la mente più permanente possibile. In qul momento ho taciuto ma una domanda mi continuava a ronzare in testa: come è possibile mantenere la mente permanente? Se ci esercitiamo e facciamo pratica, vediamo come prenderci cura della nostra mente affinché sia permanente e questo è qualcosa che non si può capire con la semplice conoscenza, la si può realizzare solo con la pratica.

Nota personale: l’insegnamento del Maestro quindi è una forte raccomandazione nel fare pratica e non abbandonare mai la via della acquisizione della consapevolezza? Solo se non abbandoni mai la via della pratica non cambi, perché la tua mente è resa stabile: forse è questo che intendeva il Maestro con mente permanente. Se notiamo bene lui ha detto “esercitati come per farla diventare permanente”. L’insight è la parola esercitati. E’ per questo che lo scopo non è certo quello di rendere permanente una cosa che per sua natura non lo potrà mai diventare. Il vero scopo è la pratica, in un certo senso occorre impegnarsi per ottenere la stabilità, dove il termine stabilità è da intendersi qui come un sinonimo della parola permanenza. La stabilità da ottenere è quella della mente della persona che pratica nella consapevolezza e che grazie ad essa può sentirsi gioiosa e felice, con se stessa, con gli altri e con il mondo che la circonda. E’ a questo punto che non vogliamo più cambiare il nostro modo di essere, vogliamo rendere permanente la nostra mente consapevole perché ci fa sentire felici. E’ questo che stiamo cercando: la liberazione permanente dalla sofferenza.

Quando rendiamo stabile la nostra pratica siamo in grado di capire meglio le altre persone e sentendoci gioiosi e felici sviluppiamo il desiderio che anche altri possano raggiungere il nostro stato. Diventiamo più comprensivi, compassionevoli e trattiamo tutti con amorevole gentilezza: questo modo di agire è ciò che si definisce nel buddismo la Bodhicitta. La Bodhicitta è da nutrire affinché diventi stabile, nutrirla sviluppando una sorta di permanenza della nostra mente nella Bodhicitta. Fu così che arrivai a rispondere al mio Maestro e gli dissi che ora avevo capito come esercitarmi per mantenere la mia mente permanente.

Quando siamo consapevoli dell’impermanenza non sviluppiamo più nemmeno l’attaccamento alle cose, alle persone e ai pensieri (concetti). Come possiamo sviluppare il non attaccamento alle persone? Amandole adesso. Dal momento che non possiamo sapere cosa accadrà nel futuro, sia lontano ma anche prossimo (anche tra 5 minuti!), e che siamo consapevoli dell’impermanenza, che a volte tutto può cambiare totalmente e anche rapidamente, non attacchiamoci alle persone o al desiderio che rimangano sempre con noi o che il loro modo di comportarsi con noi (se è gentile) non cambi mai: semplicemente amiamole adesso, magari domani oppure tra cinque minuti potremo non avere più la possibilità di farlo, sia noi che loro potremo non essere più presenti l’uno per l’altro. Ecco quindi in che cosa consiste il secondo esercizio: contemplare l’assenza del desiderio.

Il nostro desiderio scompare a causa della nostra consapevolezza della natura impermanente delle cose. Anzi, la natura di tutti i fenomeni è il non-SE, è l’assenza di esistenza permanente, solida, indipendente da tutti gli altri fenomeni. Il SE esiste solo per mera imputazione, per permetterci di comunicare tra noi esseri umani e capire che cosa vogliamo intendere quando diciamo per esempio “portami una sedia”. Il se è una convenzione sociale. Tutti i fenomeni sono caratterizzati da una non nascita e una non morte perché tutto è in continua trasformazione. Ad esempio le nuvole (vedi post precedente sulla assenza del SE): appaiono originando dal vapore acqueo, scompaiono trasformandosi in gocce di pioggia che cadono fino a fare parte di un fiume dal quale noi preleviamo l’acqua per fare un caffè. Quindi il caffè è anche nuvola. Non nasce dal niente e non muore nemmeno. In seguito il caffè diventa cibo per le nostre cellule, probabilmente anche in quelle che danno origine agli ovuli di una donna in età fertile che darà la vita ad un altro essere umano. Il neonato è anche nuvola. Quando diventerà adulto e morirà diventerà cibo per i vermi della terra che a loro volta parteciperanno al processo di fertilizzazione che renderà possibile la crescita di bellissimi fiori e alberi dalle quali cadranno frutti buonissimi … E’ tutto collegato, ogni fenomeno è il risultato di cause e condizioni che si sono unite per originarlo, non c’è niente che nasce di per sé, come nuovo, dal nulla, e niente muore, tutto si trasforma. E’ questo il terzo esercizio: contemplare la non-nascita e la non-morte.

L’ultimo esercizio è la contemplazione sul lasciare andare. Cosa ti rende infelice, preoccupare o soffrire? Lascialo andare! Anche il pensiero, lascialo andare! Anche il tuo continuo pianificare, quello che ti aspetti che accada, lascialo andare! Quando lasci andare la tua mente diventa pacifica, e quando si calma comprendi in che modo puoi risolvere i problemi. Se continui a pensare e pensare la tua mente va in confusione, è turbolenta, un pensiero ne chiama un altro in un vortice senza fine. E’ così occupata da tutto questo che le impedisce di vedere le cose con chiarezza. Anche quando impariamo il Dharma, non dobbiamo accumulare conoscenza, mettiamolo in pratica. E’ tutto qui: la pratica, non hai bisogno di ricordare nulla sulla teoria, anche se non ricordi nulla pratica il lasciare andare e sari più felice e libero. Non devi ricordare a memoria tutto lo schema dei 16 esercizi, cosa c’è nel corpo, i 51 fattori mentali, ecc … quello che devi fare è esercitarti nella pratica, pratichiamo per comprendere una situazione e poi lasciamola andare: questo processo serve per liberare la mente in maniera da vedere più chiaramente le cose come sono nella realtà. Così, quando c’è una situazione che causa preoccupazioni e quando siamo bloccati non sapendo cosa fare, lasciamo andare per un pò, non prestiamo attenzione (questo è uno dei significati di lasciare andare) al problema, liberiamo la mente, calmiamoci e poi torniamo alla situazione problematica: con più calma e più spazio nella mente potremo vederne con maggior chiarezza la soluzione.

Lasciare andare è ben diverso da ciò che si intende con “dare un taglio”. Se hai una relazione difficile con un altra persona e sei abituato a scappare dal problema eliminandolo (in questo caso interrompi la relazione con la persona), è molto probabile che avendo lasciato qualcosa di irrisolto senza averlo compreso, tu possa in futuro ritrovarti in una analoga situazione e soffrire nuovamente. A furia di interrompere le relazioni alla fine rimarrai con il problema irrisolto e da solo con tua sofferenza anche quando sarai circondato da una folla di persone. Lasciare andare significa non prestare attenzione, non troncare. Per esempio se qualcuno ha detto qualcosa che ci offeso non pensiamoci, non gli diamo peso ma torniamo al respiro e al corpo e alla mente per prendercene cura, e poi prendiamoci cura del sentimento che si è manifestato, contempliamo. Lentamente calmiamolo, creiamo spazio nella mente e sentiamoci più liberi. Viene da se che con la mente libera proviamo gioia e felicità ed inizieremo anche ad amare quella persona (grazie alla meditazione sull’impermanenza e sul non-SE) riprendendo la relazione con maggior chiarezza e con una forte probabilità di appianare le divergenze. Avrai la possibilità di riconnetterti con gli gli altri, perché noi dipendiamo dagli altri: è questo il concetto dell’inter-essere. Non c’è io senza il tu. Ecco perché se tagli fuori, se abbandoni senza risolvere rimarrai solo. Quando ti senti connesso agli altri ti senti più forte di quando sei da solo. Per esempio meditare in gruppo, in una sala dove anche tutti gli altri stanno meditando migliora la qualità della tua contemplazione perché ti senti più forte.

Così come abbiamo fatto nella gestione di una relazione occorre a volte tornare a noi stessi e praticare allo stesso modo per eliminare le nostre sofferenze. E’ più doloroso non prendersene cura. Non dobbiamo ignorare la nostra sofferenza, sarebbe come dare un taglio netto ed abbiamo visto che non serve a risolvere il problema. La cosa giusta da fare è lasciare andare un pò senza prestare attenzione, giusto il tempo di guadagnare calma, di rigenerarsi con la gioia, di liberare la mente e per poi tornare alla contemplazione della situazione con maggior chiarezza.

Le quattro pratiche che abbiamo visto oggi, ciascuna con i sui quattro esercizi, sono i quattro fondamenti della consapevolezza. Servono per eliminare le sofferenze del corpo, delle sensazioni, della mente e quelle che originano dalle relazioni interpersonali. Quando abbiamo un dolore respiriamo, calmiamo il respiro, prestiamo attenzione al corpo, calmiamo il corpo, torniamo al dolore e lo abbracciamo. Quando abbiamo una sensazione spiacevole generiamo la gioia, la felicità, torniamo alla sensazione, prestiamo attenzione ad essa e calmiamola. Quando la mente è occupata da un pensiero fisso prestiamo attenzione alla mente, la calmiamo, ci concentriamo su di essa, torniamo sul pensiero e la liberiamo. Quando abbiamo un problema con gli altri contempliamo l’impermanenza, il non-SE, la non-nascita e non-morte, lasciamo andare e torniamo dalla persona con amore.

Dobbiamo nutrire attraverso la pratica la conoscenza di tutti gli esercizi che abbiamo visto, e dico attraverso la pratica perché la sola nozione teorica non ci permette di entrare in contatto con il vero significato di tutti gli aspetti che costituiscono i 4 pilastri della consapevolezza. Ad esempio la meditazione, sia che siamo seduti o che si cammini, si può conoscere solo praticandola, la si sviluppa solo facendola, ne vedremo i benefici solo se tutti i giorni la facciamo. E lo stesso vale anche per la contemplazione sulla impermanenza o per esempio sul lasciare andare. Certo, a livello teorico uno può avere un idea di base, ma solo durante la pratica la si conosce veramente, la si sviluppa e se ne traggono i benefici. Deve essere una abitudine alla pratica, all’inizio magari è difficoltoso e costa un pò di sforzo, questo è normale, ma se ci abituiamo la pratica entrerà a far parte del nostro essere, e sarà spontanea. Quando ci accorgiamo che diventiamo ogni giorno più liberi e felici, più in grado di affrontare i problemi, chi è quella persona che vedendo tali benefici ci rinuncia? Nessuno. Più si pratica più ci sentiamo liberi e felici nel nostro percorso verso l’illuminazione, che vi auguro possiate trovare presto. Grazie per avermi ascoltato.

Tich Nhat Hanh – Respiro consapevole

Come fare funzionare la consapevolezza

Vorrei descrivere la consapevolezza come il sangue della nostra psiche: se non c’è una buona circolazione sanguigna la nostra psiche si ammala perchè le sue tossine non avranno modo di essere eliminate. Nella nostra psiche abbiamo dei nodi, dei grumi di sofferenza che la nostra consapevolezza non è ancora stata in grado di toccare. La terapia buddista (per sciogliere i nodi) è quella della consapevolezza.Se voi producete consapevolezza e con essa riuscite a toccare la vostra anima. Con la consapevolezza vi curate e potrete guarire.

Così come la nostra ansia, la nostra disperazione e le nostre frustrazioni ci tormentano perchè non sono state guarite con la consapevolezza, così possiamo anche dire che il puro e semplice contatto con la presenza mentale della nostra sofferenza effettua la trasformazione. Ma se la guarigione non ha luogo o avviene troppo lentamente questo vuol dire che la nostra consapevolezza è di povera qualità.

Tutti quanti abbiamo il seme della consapevolezza dentro di noi ma è ancora troppo debole, come una lampadina da 30 watt posta in una grande stanza risulterebbe troppo debole per potere leggere un libro. Poiché non abbiamo praticato abbastanza il contatto con la consapevolezza il suo seme è sepolto in profondità nella nostra coscienza. Quindi, per rendere la consapevolezza un’energia permanente dentro di noi, dobbiamo imparare a praticare la respirazione consapevole. Sappiamo che se la consapevolezza è presente allora le percezioni, sensazioni e formazioni mentali verrano da essa stessa toccate non appena sorgono.
La consapevolezza è come una lampada da tenere sempre accesa nella grande stanza: così, come le percezioni, sensazioni e formazioni mentali che entrano nella stanza sono illuminate dalla lampada, allo stesso modo quando esse entrano nel campo della coscienza sono toccate dalla consapevolezza.

Ecco perchè noi dobbiamo portare la consapevolezza dall’aula di meditazione in cucina, sull’autobus, al mercato, in giardino, dappertutto: la consapevolezza non è un’ora o due di meditazione ma è una pratica a tempo pieno. Noi sappiamo che non dobbiamo sopprimere la sofferenza, ma ce ne dobbiamo prendere cura attraverso la consapevolezza lasciando che essa possa toccare la sofferenza non appena emerge. Il problema, o meglio quello che dobbiamo imparare è come rendere di migliore qualità la nostra consapevolezza, come nutrirla e come svilupparla. Il modo corretto per migliorare il nostro grado di consapevolezza è quello di praticare la respirazione consapevole.

La pratica del respiro consapevole

La pratica fondamentale della meditazione del respiro consapevole nutre la vostra attenzione cosciente e vi insegna a tenerla presente, viva e attiva. Quando imparate a generare l’energia dell’attenzione cosciente e a permetterle di entrare in ogni cosa facciate, fioriscono naturalmente in voi la comprensione, la compassione e l’amorevole gentilezza. All’inizio penserete che soltanto camminando praticate l’attenzione cosciente, ma poi, un giorno, potreste preparare un tè, prendere la tazza e sentire all’improvviso l’aroma con un’intensità a voi sconosciuta. E mentre ne bevete un sorso, il tè diventa più buono perché l’energia dell’attenzione cosciente che avete sviluppato vi permette di gustarlo più direttamente e più profondamente.

Il respiro è parte del corpo, quindi quando la mente è in contatto con il respiro attraverso una respirazione cosciente, è in contatto anche con il corpo. Il vero rilassamento e la vera pace sono il naturale risultato di una respirazione cosciente in cui il corpo, il respiro e la mente diventano una cosa sola.

La Posizione

Per praticare la meditazione del respiro consapevole, sedetevi comodamente e lasciate che il vostro peso sprofondi a terra. Potete praticare il respiro consapevole anche stando in piedi, camminando o in qualsiasi altra posizione, persino facendo jogging. Che camminiate o corriate, siate seduti o in piedi, finché siete consapevoli del vostro respiro, la pace e la serenità rimangono con voi.

Sedetevi in modo da potervi godere ogni momento del vostro stare seduti. Se sedervi su un cuscino per voi è difficile, potete sedervi su una sedia. Se restando seduti provate una forte irrequietezza o resistenza, allora stendetevi.

Che siate seduti o in piedi, tenete la testa e il collo allineati alla spina dorsale lasciando cadere completamente le spalle. Se invece siete distesi, rilasciate le braccia a fianco del corpo con un’angolazione che permetta alle vostre spalle di rilassarsi completamente. Le mani possono stare sulla pancia o a terra. Se avete bisogno di un cuscino, sceglietene uno che sia di uno spessore sufficiente per sostenere la testa ma senza mettere il collo in tensione.

Per sciogliere le mandibole, aprite la bocca più che potete per tre volte, facendo seguire ogni apertura da un profondo respiro. Ora chiudete gli occhi e permettete ai muscoli del viso di rilassarsi completamente mantenendo le labbra a mezzo sorriso. Un mezzo sorriso vi aiuta a ritornare alla sorgente dell’amore, della gioia e della compassione dentro di voi. Lasciate che il respiro fluisca naturalmente, permettete al fiume del respiro di portare il vostro leggero sorriso in ogni parte del corpo.

I gomiti e i polsi devono essere sciolti. Rilassate tutte le dita. Se siete seduti potete mettere una mano sopra l’altra, incrociare le dita o lasciare le mani in grembo.

Quando vi siete sistemati, appoggiate le mani sulla pancia e continuate a respirare naturalmente.

Il primo esercizio della respirazione consapevole è molto semplice e consiste in questo: respirando naturalmente pensate o dite piano :” respirando so che sto respirando”. Anche se questo esercizio è molto semplice ci può portare molta pace e felicità.

Il secondo esercizio è : inspirando essere consapevoli che stiamo inspirando, espirando essere consapevoli che stiamo espirando. Inspirando, lasciate che i vostri pensieri scendano al livello dell’addome e si stabiliscano lì. Espirando, lasciate che tutto il vostro corpo si senta più calmo e ripulito mentre si libera delle tensioni e degli stress. Mentre inspirate, dite piano “Riposare” e lasciate che tutte le vostre attività mentali riposino nel vostro addome.

Poi, durante tutta l’espirazione, dite piano “Calmare” mentre il vostro corpo si rilassa e diventa calmo come quello di un bimbo. Fate questo esercizio – inspirazione, “Riposare”; inspirazione, “Calmare” – per qualche minuto o quanto volete fino a sperimentare un senso di profonda tranquillità e piacevolezza.

Terzo esercizio: mentre inspiro ed espiro cerchiamo di acquisire la consapevolezza anche del nostro corpo. Facendo questo esercizio portiamo la mente a casa nel nostro corpo ed impariamo piano piano a stabilirci nel momento presente. 

La vostra mente è rimasta a riposare sul morbido cuscino del vostro respiro e per questo il respiro è diventato più profondo, più calmo e più lento. Ora mettete tutta la vostra attenzione sul respiro e su nient’altro. Posate le mani sull’addome per sentirlo salire e scendere con l’inspirazione e l’espirazione. Avete notato che mentre inspirate sale e mentre espirate scende? Questa è una respirazione sana. Quando siamo tesi o presi da una forte emozione, la respirazione diventa corta e superficiale e la pancia non si muove affatto.

Quarto esercizio: Rilassare le tensioni del nostro corpo e di ridurre la quantità di dolore nel nostro collo.

Quinto esercizio: generare un sentimento di gioia.

Ora, mentre inspirate, seguite l’aria che entra nel corpo attraverso le narici, sentite l’addome alzarsi e dite piano “Dentro, uno”. Con l’espirazione sentite l’addome scendere e dite piano “Fuori, uno”. Dite “Dentro, due” durante la seconda inspirazione e “Fuori, due” durante la seconda espirazione. Continuate per dieci respiri completi. Contare i respiri in questo modo vi aiuta a coltivare l’attenzione cosciente e la concentrazione, che sono essenziali per alimentare la pace e la felicità.

Sesto esercizio: generare un sentimento di felicità.

Settimo esercizio: riconoscere i sentimenti e le emozioni di sofferenza (di dolore) che sorgono dentro di noi ma stando molto attenti a non sopprimerli, semplicemente notare che sorgono, tentare di abbracciarli e di ascoltarli in modo tale che ….

Ottavo esercizio consiste nel calmare il dolore causato dalle emozioni che abbiamo identificato esserne l’origine.

All’inizio potreste trovare difficile restare consapevoli fino a dieci respiri ma, una volta riusciti a farne dieci di fila coscienti, potete continuare fino ad arrivare a quindici. E se volete farne ancora, potete continuare fino a raggiungere i venti respiri. Con la respirazione consapevole impariamo a gestire la nostra felicità e sapremo gestire meglio il nostro dolore e la nostra sofferenza generando nuova energia che scaturisce dalla gioia e dalla felicità. 

La meditazione camminata

Molti pensano che camminare significhi solo arrivare da qualche parte, ma camminare è in sé la vita. Se non sei capace di camminare pacificamente e felicemente stai sprecando il tempo per camminare: il tempo per camminare è il tempo per vivere. Ecco perchè io non voglio perdere la mia vita, voglio camminare da persona libera, da persona felice. Da qui voglio andare là per guardare quel fiore. Guardare quel fiore è il mio scopo, naturalmente, perché mi darà gioia, ma camminare da qui a là è anche vita e devo essere capace di godermi ogni passo che faccio, perché non si può sacrificare una cosa per un altra, perché entrambe sono vita. Ecco perché per me la meditazione camminata è diventata il mio stile di vita, ogni passo che faccio deve portarmi pace e felicità. Quindi faccio qualsiasi cosa per continuare la mia pratica di meditazione camminata. Se devo andare in aeroporto per prendere un volo mi do un sacco di tempo per poterci andare tranquillamente e in aeroporto non ho bisogno di correre, ma posso praticare ancora godendomi ogni passo. 

Per organizzare la tua vita devi essere determinato, devi resistere alla tentazione di perdere te stesso. E se sei uno scrittore, un regista, un artista, un insegnante puoi facilitare l’unione tra le persone con questo genere di consapevolezza. E questa è l’unica maniera in cui possiamo cambiare il modo di pensare della gente e cambiare la nostra civiltà, perchè in questa civiltà le persone non sono davvero vive, vogliono (passano il tempo a) preparsi per la vita ma poi, dopo tutti questi (preparativi e programmi alla fine) non sono capaci di viverla perchè corrono sempre, stanno sempre pensando (e prepararsi) al futuro, non sono capaci di fermarsi, di stabilirsi nel momento presente e vivere profondamente ogni momento della loro vita.

Quando bevi il tuo tè bevilo da persona felice; quando consumi il tuo pranzo, mangia in maniera tale da diventare la persona più felice; quando vai all’aeroporto, cammina mostrando che sei felice, che sei rilassato, che sei vivo, e questo dev’essere applicato a qualsiasi atto, a qualsiasi momento della della tua vita.

Portare l’attenzione sul respiro

Di Tich Nath Han
La presenza mentale è al tempo stesso un mezzo e un fine, il seme e il frutto. Quando la pratichiamo per sviluppare la concentrazione, la presenza mentale è un seme. Ma la presenza mentale è di per sé la consapevolezza della vita: se c’è presenza mentale c’è vita, e quindi in questo senso è anche il frutto. La presenza mentale ci libera dalla distrazione e dalla dispersione e ci consente di vivere pienamente ogni istante. È importante saper respirare in modo da mantenere la presenza mentale, dal momento che il respiro è uno strumento naturale ed estremamente efficace per prevenire la dispersione. Il respiro è il ponte che connette la vita alla coscienza, che unisce il corpo ai pensieri. Ogni volta che la mente si perde, il respiro è il mezzo che vi consente di riportarla indietro. 

Inspirate delicatamente e a lungo, coscienti del fatto che state facendo una profonda inspirazione. Ora fate uscire tutta l’ aria dai polmoni, restando coscienti dell’espirazione in tutta la sua estensione. Il Sutra della presenza mentale insegna il metodo per mantenere il controllo del respiro in questi termini: “Essendo mentalmente presente egli inspira ed essendo mentalmente presente egli espira. Inspirando un lungo respiro, egli sa ‘lo inspiro un lungo respiro’ ; espirando un lungo respiro, egli sa ‘Io espiro un lungo respiro’ . Inspirando un breve respiro, egli sa ‘Io inspiro un breve respiro’; espirando un breve respiro, egli sa ‘Io espiro un breve respiro”
” ‘Sperimentando l’intera estensione del respiro, io inspirerò’, così egli si esercita; ‘sperimentando l’intera estensione del respiro, io espirerò’ , così egli si esercita. ‘Calmando la funzione corporea della respirazione, io inspirerò’, così egli si esercita; ‘calmando la funzione corporea della respirazione,io espirerò’ , così egli si esercita” .
Nei monasteri buddhisti, si insegna a servirsi del respiro per arrestare la dispersione mentale e sviluppare il potere della concentrazione. Il potere della concentrazione è la forza che scaturisce dalla pratica della presenza mentale. Con l’aiuto della concentrazione si può raggiungere il Grande Risveglio.
Quando un praticante resta sul respiro, ha già raggiunto il risveglio. Per conservare a lungo la presenza mentale dobbiamo osservare ininterrottamente il nostro respiro.

Jon Kabat-Zinn – Mindfulness (meditazione di consapevolezza)

Conferenza a San Diego durante un congresso per psicologi

…Noi siamo bravissimi ad addormentarci, lo facciamo ogni notte e per la maggior parte del giorno quando siamo in modalità “pilota automatico” e non siamo consapevoli. ‘Risvegliarsi’ è una sfida che in qualche modo richiede di coltivare una dose di intimità, infatti c’è una definizione di mindfulness che la descrive proprio come il coltivare l’intimità di noi stessi, si tratta di connettersi dentro noi stessi e capire veramente chi siamo.
A proposito di connettività, noi viviamo in un era in cui la tecnologia ci permette di essere connessi 24 ore su 24, anche quando non siamo a casa o al lavoro grazie all’uso dei telefonini più moderni. Ma avete mai avuto la sensazione di non essere connessi con voi stessi? Magari dovremo pure pagare la telefonata per auto-chiamarci…ehi ci sei? È un metodo zen chiedersi: ‘ci sei? sei qui?’ È anche interessante chiedersi chi sta facendo la domanda e chi risponde, oppure cosa significa quando usiamo il pronome personale IO, ME, MIO. Sapete, esiste un livello base dove operiamo nel mondo senza prestare troppa attenzione a chi siamo. Molti di noi si tengono alla larga dal farsi queste domande perché fare un quadro della situazione per rispondere comporta un lavoro molto costoso e inoltre se iniziamo a chiederci chi siamo potrebbe diventare pericoloso in quanto non si riuscirebbe facilmente a trovare una risposta accettabile.
Mai avuto la sensazione di stare da una parte e invece dovevate essere altrove, o volevate essere qui ma dovevate andare là? Capita anche a voi di usare l’espressione: ‘ho un paio di idee riguardo a quella cosa’ e vi accorgete poi che solitamente esse sono in conflitto l’una con l’altra? Vi siete mai sentiti in conflitto con voi stessi? E iniziate a vedere dal tono dei miei commenti che non sto parlando di pazienti psicotici. Chi è psicologo e lavora nel campo? oh vedo che ci sono anche altre persone qui (oltre agli psicologi). Bene perché questa è una lezione con pari opportunità, mindfulness è una pratica equa, non importa chi sei o cosa fai, se hai un corpo e una mente questo basta! Certo, potrebbe essere difficile e quindi voglio dire subito che mindfulness opera sì una riduzione dello stress, ma diciamolo: è stressante da fare! È una cosa difficile da fare essere noi stessi quando non sappiamo bene chi siamo.
Ora se istantaneamente guardate alla vostra vita con cuore aperto e compassione vi viene in mente un momento di ‘abdicazione’? Potete sentirlo? È qualcosa di profondo in voi stessi, quando mollate tutto, nei momenti in cui vi sentite a pezzi e divisi tra questo o quello, volere questo o quello, avere paura di questo o quello ed essere travolti dal dualismo, dal dilemma. Il pericolo e la bellezza della pratica mindfulness è che ti re introduce a te stesso.
Per esempio pensiamo a Emily Dickinson che come sapete era molto ferita sentimentalmente e voleva difendersi, essere impenetrabile come una fortezza e poi ha capito e disse: ‘se io stessa sono me stessa (cioè in quel momento soffriva ma non era capace di accettare quello stato d’animo) come posso avere pace se non boicottando la mia coscienza?’ Che poi è quello che facciamo tutti molte volte neghiamo anche a noi stessi, sopprimiamo, non prestiamo attenzione a cosa realmente proviamo, io lo chiamo intrattenimento, diversivo, deviamo l’attenzione come un fiume che devia dal suo corso, lo facciamo sempre…potete verificarlo diventando consapevoli se volete. Accogliete l’invito, vedete quante volte nel giorno deviamo abdicando il me da me stesso. Potete sentire il modo in cui questo gesto è un tradimento? Come potete lasciare andare questo stato di sofferenza se non lo accettate e lo comprendete, cioè se non provate una amorevole compassione verso voi stessi e accorgervi quindi di avere la possibilità di porre fine a tutto questo? Il meccanismo di autodifesa è quasi automatico, segue il desiderio di non soffrire mai più, capita a tutti noi di metterlo in atto ma senza accorgersi che soffriamo perché lo facciamo senza esserne consapevoli.
Scappare dal dolore e dallo sconforto andando verso il piacere è una costruzione della mente, così se riusciamo ad esaminare con attenzione momento per momento il processo mentale per capire come la mente appiccica etichette piace-non piace usando la mindfulness come una specie di microscopio e senza giudicare (noi stessi o la situazione togliendo l’etichetta piace-non piace) acquisiamo sempre maggiore consapevolezza e questo è incredibilmente arricchente, ti restituisce una vita, ti libera! Ecco perché nella tradizione buddista la mindfulness è spesso detta ‘il cuore della tradizione Buddista’, ma non è Buddismo e non ha a che fare con il Buddismo più di quanto la legge di gravità abbia a che fare con gli inglesi perché Newton era inglese. Se ci sono elementi universali che hanno a che fare con l’attenzione e consapevolezza, da dove vengono questi concetti non è molto importante, importante è il valore che hanno e quel valore è ottenuto da test, test che possiamo fare su di noi.
Ed ecco un altro poema di Derek Walcott, un poeta dell’isola di Santa Lucia, africano di origine e Nobel della letteratura, professore di molte università. Questa poesia è chiamata ‘amore dopo amore’. Ascoltate attentamente tenendo presente la frase precedente della Dickinson:
‘Tempo verrà in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato alla tua porta nel tuo proprio specchio.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io, offri vino. Offri pane.
Rendi il cuore a se stesso, allo straniero che ti ha amato per tutta la vita,
che hai ignorato per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tirai fuori le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua (falsa) immagine.
Siediti.’
Penso che quanto descritto nella poesia possa accadere ad ognuno di noi e se non avete idea di che cosa io stia parlando allora fate attenzione: volete chiedermi da qualsiasi prospettiva includendo quelle scientifica come sono sicuro che possa accadere?
Tutta la strumentazione scientifica è una estensione dei sensi. Se vuoi sapere cosa successe indietro nel tempo quando accadde il Big Bang cosa fai? Costruisci giganteschi telescopi, li punti al cielo e li ascolti, ma non stiamo ascoltando con le nostre orecchie i grandi telescopi sono estensioni delle nostre orecchie, ricettori di onde che non potremmo captare e così tutti gli strumenti come spettro-fotometri, bilance, telescopi e microscopi sono tutte estensioni dei sensi. Quanti sensi abbiamo? Nei libri si dice 5, i buddisti direbbero 6: vedere, odorare, assaporare, toccare e ascoltare, poi c’è quello che chiamano sapere o mente.
Senza l’aspetto della mente che è conoscenza diretta non sapremmo cosa stiamo provando attraverso i sensi. Allora cosa intendiamo per mente? È una domanda molto interessante scientificamente e ci sono aspetti della mente che possiamo iniziare a controllare e misurare utilizzando diversi strumenti come degli scanner non invasivi, stiamo iniziando a fare studi molto interessanti sulla meditazione usando la risonanza magnetica e altre cose, non ho tempo per parlarne ora ma molti tipi di studi si stanno facendo per tentare di dare una risposta. Quello che dico è che i buddisti hanno sempre considerato la mente, quell’elemento di conoscenza concettuale di essere, come un altro senso.
Andando oltre consideriamo anche il senso della propriocezione che è un senso strabiliante che ci dice dove il corpo si trova nel tempo e nello spazio in ogni momento: io so dove è la mano (ad esempio se la metto dietro la testa) anche se non la vedo. Se qualcosa non funzionasse ai miei propriocettori non mi accorgerei di dove è il corpo e magari non riuscirei a stare in piedi qui dovrei usare altri percorsi neurali per essere sicuro che i miei muscoli siano a posto. Tutti noi sappiamo da che direzione siamo arrivati prima di trovarci qui senza quasi pensarci e sappiamo anche dove troveremo la nostra auto senza troppo pensarci, ma prendiamo tutto questo come scontato. Localmente danni agli organi che hanno come risultato la perdita della propriocezione possono ingannare la mente, e di questo se ne parla nel libro ‘l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello’, quindi pensate che c’è un senso che non sappiamo nemmeno di avere ma che diamo per scontato e che ha a che fare con la mente.
La mindfulness ci evita di rimanere bloccati in un ‘essere indaffarati’ infinito rischiando di non inquadrare quello che veramente è importante e cioè il momento presente. È l’unico momento in cui possiamo analizzare i nostri pensieri (la mente), le nostre azioni e parole usando consapevolezza ed attenzione.
Mai avuto l’esperienza di avere qualcosa davanti di fronte ai vostri occhi che ignorate completamente fino a che non la vedete e poi dite: perché non la ho vista?!’ E del sentire?mai avuto l’esperienza di essere sicuri di avere sentito qualcosa che in realtà non è mai stato detto? Oppure qualcuno vi ha mai detto: tu non mi ascolti mai? Succede più agli uomini che alle donne di sentirsi dire cose come ‘tu non mi ascolti veramente!’; a volte te la prendi me è semplicemente la percezione delle persone che spinge a sentire solo quello che vogliamo sentire. E inventiamo quello che non sentiamo come l’esperienza di essere in una festa con molto rumore con la gente che parla e qualcuno dice il tuo nome in fondo alla stanza e chissà come tu riesci a sentirlo! Parlano di me! Se il sentore dentro te è positivo pensi: Fantastico! Oppure: ‘Oh-oh chissà cosa stanno dicendo di me’ se è negativo.
Il punto è che la pratica meditativa è veramente tornare ai nostri sensi, letteralmente possiamo veramente coltivare intimità con noi stessi con la realtà circostante e a non prendere tutto quanto per scontato.
Per spiegare meglio il concetto di attenzione e consapevolezza proviamo l’esperimento del concentrarsi sul nostro respiro. Sono pronto a scommettere che in questa stanza tutti stanno respirando ma a meno che abbiate un brutto raffreddore o stiate soffocando non prestate attenzione al vostro respiro che invece è un universo incredibilmente ricco e ognuno di noi può portare piena consapevolezza alla sensazione che il respiro provoca nell’entrare o uscire dal nostro corpo. Non c’è bisogno di molti insegnamenti: è qui ed ora e possiamo avere consapevolezza del respiro. Avete provato? Potete sentirlo? Ora il difficile è mantenere la consapevolezza del respiro perché ancora una volta la mente crea un questo e un quello, oppure dopo un po’ pensate: ‘ho capito ora mostra qualcosa di più interessante per quanto tempo devo mantenere questa cosa del sentire il mio respiro…’ Vero? Questo é un piccolo esperimento che potete provare ma se l’avete già fatto e almeno per cinque minuti vi sarete distratti dal respiro almeno 100 volte. Non è quindi così facile focalizzare la nostra mente su qualcosa, e come abbiamo visto nemmeno sul respiro che in se stesso non ha nessuna virtù a parte quella ovvia di fornire ossigeno alle cellule e mantenerci in vita. La prossima volta che il respiro diventa molto noioso con un dito premette la narice destra e con l’altro dito chiudete l’altra narice poi premete le labbra chiuse e aspettate a vedere quanto impiega il prossimo respiro per diventare molto interessante! Noi siamo abituati a prendere le cose fondamentali per scontate. Provate questo esperimento: sedete per 10 minuti cercando di seguire il vostro respiro vedendo cosa accade alla mente e provando a registrare quello che accade ogni volta che divagate coi pensieri e poi tornate al respiro. È semplice come istruzione stare attenti sul respiro, ma non bisogna arrabbiarsi se non riuscite e non dite di cose come ‘questo è impossibile ho già divagato molte volte non sarò mai un buon meditatore!’. Questo è solo un esercizio per stare concentrati sul respiro e se qualche pensiero affiora allora va bene ugualmente perché la mindfulness è consapevolezza non giudicante.
Ora vediamo un esempio per capire i processi mentali che abbiamo quando proviamo attaccamento ad un idea (o agli oggetti materiali) e dei pronomi personali che si usano per definire ciò che è mio o tuo.Quanti di voi si possono definire meditatori? Descriversi come meditatori è solo una frase, il problema di pensare di esserlo implica che tutti gli altri sono dei non meditatori. IO sono un meditatore TU non lo sei. La cosa veramente importante è capire che il problema è l’attaccamento all’idea e l’uso dei pronomi mio e tuo che si appiccicano ovunque. La MIA pratica meditativa. IO Divento più felice se medito. Il problema non sta nella meditazione in sé ma nel pronome che lo lega ad una proprietà. è come se fosse imperativo identificarci con qualcosa che pensiamo sia virtuoso e bello.
Altro esempio di causa dello stress è quello in cui potreste essere genitori e non vedere i vostri figli forse perché siete semplicemente troppo occupati e non siete mai a casa o magari quando siete a casa non siete veramente a casa perché pensate ancora al lavoro o dovete leggere delle mail del vostro capo.
Ecco, vorrei adesso farvi notare come la tecnologia oggi faccia sempre più parte delle nostre vite, siamo sempre interconnessi, non ne sto parlando male… però pensiamo alle email per esempio: quanti hanno ricevuto mail nell’ultima mezzora, e quante per ciascuno? Quanti hanno pensato di non potere vivere senza le mail? Se il computer o il telefonino si bloccano anche solo per mezz’ora impazziamo. Nessuno di voi si è trovato in questa situazione? È una malattia e poi è frustrante il fatto di dovere rispondere a tutta questa gente e il numero di contatti cresce e i messaggi sono sempre considerati importanti e solo tu puoi rispondere! Dopo un po’ non hai più tempo nemmeno per te stesso perché impieghi il tempo a rispondere! E questo non vale solo per le emails, è vero per tutto e in un certo senso noi abbiamo cose da fare fin dal momento in cui ci svegliamo al mattino.
Quanti di voi hanno una lista di cose da fare? Quanti di voi scrivono una lista di cose da fare? (in pochi alzano la mano, jon ripete la domanda e molti adesso la alzano e poi continua dicendo:) ‘incredibile, non siamo nemmeno capace di dire la verità a noi stessi, vi rendete conto? Non vi sentite intrappolati da queste liste?’
Quante volte vi siete svegliati ed era già ora si andare al lavoro? Eravate in ritardo e siete corsi in bagno, fatto colazione veloce e corsi in macchina per raggiungere in fretta il posto di lavoro. In realtà parte di questo modo di comportarci è guidato dalla paura, paura di quello che avrebbero detto i colleghi, di non riuscire a fare tutto il lavoro che c’era da fare. E dentro di voi pensate di avere la certezza di non riuscire a farcela. Ecco un altro compitino a casa da fare in bagno. La prossima volta che sei sotto la doccia sii consapevole del fatto che sei veramente sotto la doccia! Senti la sensazione dell’acqua sulla pelle, vivi il momento della doccia, non fare delle azioni solo perché vanno fatte ed in maniera automatica. Quello che è veramente importante, come abbiamo già detto è imparare a vivere momento per momento, a fare quello che devi fare ma non fare come se fosse qualcun altro a dirti di farlo. Non fare i ‘compiti’ x qualcun altro. Agisci con consapevolezza. È come quando siamo connessi con il mondo digitale, con questi nuovi telefonini, sempre a controllare i social-network, se ci siamo persi qualcosa, qualche email. Ecco, la prossima volta che siete al telefono e trovi che la tua mente voglia controllare le email o inviarle fermati un attimo a respirare, non dico di non farlo o che è male tutta questa tecnologia, la cosa importante è che quello che stai facendo lo fai con consapevolezza, dobbiamo infatti vivere con il corpo e con la mente, la mente punta al corpo e il corpo alla mente, è incredibilmente potente questo fatto. Non viviamo solo dal collo in giù. Come un burattino tirato dai fili.
Avete ma avuto un maestro che vi insegni la consapevolezza e l’attenzione? Come sarebbe se noi considerassimo la consapevolezza come qualcosa di scontato? Male! Noi dobbiamo coltivare la consapevolezza come quando ad esempio coltiviamo la attenzione sl respiro: la mente percepisce, il corpo prova sensazioni, le rimanda alla mente, questa ogni tanto divaga, noi riportiamo l’attenzione sul respiro, ecco l’esercizio del coltivare la consapevolezza. È come essere presenti ed accorgersi dell’acqua sulla pelle quando ti fai la doccia. È questo il compito, non serve un maestro e il vantaggio che comporta non deve essere interpretato solo come un rimedio magari contro lo stress, ma è un addestramento avanzato nell’arte di vivere. Se ci pensiamo un po cos’altro non sono la medicina e la scienza medica se non dei training per migliorare la vita dei pazienti? Pensiamo alla mente come qualcosa che deve essere concentrata sul qui, sul momento presente e sul corpo. Ora mi fermo e prima di rispondere alle domande devo dire che ho molto apprezzato la vostra attenzione e posso percepire che mi avete ascoltato, non solo sentito. Se qualcosa vi ha toccato in qualsiasi modo il mio consiglio sarebbe quello di coltivare e annaffiare quel seme, dovete capire che il fatto di volere coltivare non viene da me, sta venendo da dentro di voi! Infatti nessuno ha ascoltato questa conferenza per caso, ci deve essere stato un motivo per il quale ciascuno di voi è venuto qui e io non ho la faccia da seme! Qualsiasi fosse la ragione ha radici profonde dentro di voi perché non é un caso se venite a sentire della mindfulness. Onorate e nutrite quel seme con la meditazione, lo stare seduti a respirare aiuta a vivere la vostra vita con consapevolezza momento per momento e imparerete che siete meglio di quello che pensavate. Grazie ragazzi!

domanda-1) Perché è così faticoso essere in uno stato d’animo così confortevole e senza sforzo?
risposta: è perché siamo stati condizionati a vivere secondo certi schemi mentali e abitudini corporee che ci hanno rubato il corpo e concentrato nei pensieri. Questa é una storiella breve di James Joyce: …Mr Duffy viveva a pochi passi dal suo corpo…ecco la risposta!
domanda-2) Pensa sia importante x i medici fidarsi dell’istinto e c’è una connessione con la mindfulness?
risposta: Si. L’istinto. è percepire qualcosa attraverso i sensi e avere il pensiero che sorge spontaneamente che non è però proprio un pensiero nel senso stretto del termine. Usiamo l’istinto in modo diverso del pensiero. A volte capita che nonostante si conoscano tutti i fattori necessari che definiscano una determinata situazione, se non c’è la connessione (o l’istinto) si lascia perdere il discorso e si rinuncia a capire; ma poi poco dopo e tutto ad un tratto la risposta arriva in un secondo, inaspettata, quello é l’istinto! Puoi anche considerarlo come un altro senso, devi onorarlo ma fidarti é una altra cosa! Devi fare attenzione ai segnali del tuo istinto; ogni scienziato sa che deve stare attento all’influenza delle sue credenze sul risultato. La mindfulness coltiva la capacità di distinguere e non giudicare: il distinguere sente, odora, tocca, vede tutte le diverse gradazioni di bianco e nero, zero o uno, questo e quello mentre il giudizio tende a cadere nel: ecco è quello! A volte può essere che sia così (è veramente quello o questo) ma a volte il processo ti può imbrogliare e allora una voce in te dice guarda ancora guarda meglio sotto l’apparenza magari sembra così, anche questa voce è un intuizione dobbiamo fidarci ma più che altro onorarla, riconoscerla.

Introduzione alla meditazione sul respiro

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La pratica

Un metodo tradizionale insegnato dal Buddha è quello di andare nella foresta e sedersi sotto un albero ed osservare semplicemente il respiro, se il respiro è lungo, notare che il respiro è lungo, se il respiro è corto, notare che il respiro è corto.

Mentre inspira ed espira il meditatore si esrcita nel
1- addestrare la mente a essere sensibili a (uno o più dei seguenti):
il corpo intero, i processi di rapimento (estasi), il piacere, la mente stessa
2 – addestrare la mente a concentrarsi su (uno o più dei seguenti):
incostanza, distacco, cessazione e rinuncia, stabilità, soddisfazione
Un popolare non-canonico metodo utilizzato segue quattro fasi:
-più volte il conteggio espirazioni in cicli di 10
-più volte il conteggio inspirazioni in cicli di 10
-concentrazione sul respiro, senza contare
-concentrazione solo sul luogo dove il respiro entra ed esce dalle narici (cioè, la narice e la zona labbro superiore).

Fonti moderne

In primo luogo, per avere successo nella pratica, si dovrebbe fissare l’obiettivo della sessione di meditazione. Si può decidere di praticare seduti o mentre si cammina o di alternare la seduta e la camminata. Poi ci si può concentrare sul respiro che passa attraverso il naso: la pressione nelle narici su ogni inalazione, e la sensazione del respiro che si muove lungo il labbro superiore ad ogni espirazione. Gli operatori possono scegliere di contare ogni inalazione, “1, 2, 3, …” e così via, fino a 10, e quindi iniziare nuovamente da 1. In alternativa la gente a volte conta l’espirazione, “1, 2, 3, …,” e altre volte sial’inspirazione che l’espirazione. Se il conteggio viene perso allora si deve ricominciare dall’inizio.

Un altro tipo di pratica (raccomandata nello Zen) è iniziamente contare “1, 2, 3, …” sulla inalazione per un pó, per poi passare poi a contare sulla espirazione, poi alla fine, una volta che si ha successo più consistente in tenere traccia del conteggio, iniziare a prestare attenzione al respiro senza contare.

Concludendo

Ci sono professionisti che contano il respiro per tutta la vita. I principianti sono spesso invitati a tenere una breve pratica quotidiana di circa 10 o 15 minuti al giorno.
Quando ci si distrae dal respiro, sia da un pensiero o qualcosa d’altro, allora si restituisce semplicemente la attenzione al respiro. Secondo me è proprio quest’ultimo tipo di attività che veramente ci aiuta ad “addestrare” la mente e che si verifica nel momento in cui i praticanti restituiscono la loro attenzione al respiro, dopo essersi distratti.
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